macerare
v. tr. [dal lat. macerare] (io màcero, ecc.). – 1. Sottoporre una sostanza a processo di macerazione, tenendola a lungo in acqua o in altro liquido: m. la canapa, la carta, il cuoio; m. la carne nell’aceto, prima di cuocerla. Nell’intr. pron., subire il processo di macerazione: lasciare una notte i ceci nell’acqua perché si macerino; più spesso in frasi con valore causativo (nelle quali il verbo rimane intr. pron., ma la particella pron. non viene espressa): mettere a macerare, far macerare, lasciar macerare (il lino, la carne, ecc.). 2. a. Consumare riducendo a grande magrezza, logorare nel fisico e nello spirito, estenuare: i digiuni, le sofferenze gli avevano macerato il volto, o lo avevano macerato; nel rifl., sottoporsi a privazioni, a patimenti, a mortificazioni fisiche e spirituali che portano al dimagrimento e all’estenuazione: macerarsi con digiuni, con penitenze, con una vita ascetica. b. In usi fig., torturare, angustiare; soprattutto nel rifl., torturarsi, angosciarsi, rodersi internamente: macerarsi dalla (o per la) gelosia, dall’invidia (o per l’invidia); struggersi: macerarsi nel desiderio, nell’attesa. 3. ant. Rendere scabra la superficie del marmo o di altre pietre da scolpire, con fitti colpi di scalpello. ◆ Part. pres. macerante, anche come agg.: sostanze maceranti, quelle (acidi, basi, sali, enzimi, ecc.) che accelerano i fenomeni fisici della macerazione, usate, per es., nella concia delle pelli. In senso fig.: digiuni maceranti, che provocano dimagrimento, estenuazione; desiderio, attesa macerante, struggente. ◆ Part. pass. macerato, anche come agg.: canapa macerata; dal terreno fradicio e fra gli steli proni dell’erba giallastra, macerata dal lungo gelo, spuntavano i primi fiori, timidi e assurdi (P. Levi); carni macerate; un volto macerato dai digiuni, dalla penitenza; fig., cuore macerato, afflitto, straziato. Come s. m., preparato farmaceutico ottenuto per macerazione di una droga.