maledire
(ant. o tosc. maladire) v. tr. [lat. maledicĕre, comp. dell’avv. male e dicĕre «dire», propr. «dir male»] (coniug. come dire, tranne l’imperat. maledici; nell’imperf. indic. l’uso pop. ha anche maledivo, e nel pass. rem. maledìi, maledisti, ecc.). – 1. a. Invocare su qualcuno il castigo e la condanna, anche eterna, da parte della divinità (il contrario quindi di benedire): nell’esasperazione del dolore, maledisse il nemico che gli aveva ucciso il figlio; di solito riferito a Dio come soggetto, in quanto decreta o è chiamato a sancire la maledizione: dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio maledisse il serpente; che Dio lo maledica! b. Con sign. più generico, imprecare contro qualcuno (o anche contro sé stesso) augurandogli il male, come forma di reazione violenta o come manifestazione d’ira, di rancore, di dolore represso: sé, la sua vita, il suo amante e lo scolare sempre maladicendo (Boccaccio); sia maledetto chi pronunciò quelle parole!; anche, imprecare contro cosa o circostanza che si consideri particolarmente infausta, dannosa: E maledico il dì ch’i’ vidi ’l sole (Petrarca). 2. Di uso letter. la costruzione intr. con compl. di termine, sul modello del latino: I0 maledissi al papa or son dieci anni, Oggi co ’l papa mi concilierei (Carducci). 3. Ant., non com., nel sign. etimologico di dir male, sparlare di qualcuno (cfr. maldicente). ◆ Part. pres. maledicènte, usato per lo più con valore verbale: Maledicenti a l’opre de la vita E de l’amore (Carducci). ◆ Part. pass. maledétto, anche come agg. (v. la voce).