malo
agg. [lat. malus]. – 1. Nell’uso ant. e letter. è l’opposto di buono in quasi tutti i suoi sign. (sostituito nell’uso corrente e moderno da cattivo). Per lo più usato in senso morale, per indicare malignità, disonestà, o più genericam. qualità negative, disposizione sfavorevole, e sim., con riferimento a persone, animali o cose: molti, dilettandosi ne le m. operazioni, hanno invidia a’ m. operatori (Dante); Tra m. gatte era venuto ’l sorco (Dante); l’uomo sociabile è qualche volta mosso dalle m. leggi a offender altri (Beccaria); Mala bestia è questa mia, Mal cavallo mi toccò (Carducci). Oppure nel senso di incapace, inadatto, privo dei necessarî requisiti, difettoso: lo mal fabbro biasima lo ferro ... credendo dare la colpa del mal coltello ... al ferro (Dante); dovresti sapere che ho m. vista e che non posso usare occhiali (Leopardi). Il masch. sing. in posizione proclitica si tronca spesso in mal (v. anche mal): intendere in mal senso; il mal seme d’Adamo (Dante); si vedano altri esempî al n. 2. Il masch. plur. si tronca talvolta in ma’ (v. ma’1). 2. Nell’uso moderno (soprattutto letter.), si mantiene vivo in alcune locuz. particolari: mala cosa (m. cosa è l’invidia; m. cosa nascer povero, il mio caro Renzo, Manzoni); mala fama (da cui l’agg. malfamato); mala femmina, donna immorale, prostituta; rispondere con mala grazia (con mal garbo); una mala lingua (anche una mala bocca), una persona maldicente; mala morte, morte violenta, accaduta per una disgrazia, o che non ha avuto il conforto della religione (nell’uno e nell’altro caso, si contrappone a buona morte); vista la mala parata, la situazione difficile o pericolosa; prendere in mala parte, mostrare risentimento per cosa fatta o detta senza fine cattivo; a mala pena, a stento; prendere a male parole, insultare; far mala riuscita, riuscire male; per mala sorte, sventuratamente; essere in mala voce, avere cattiva fama; di mala voglia, malvolentieri; mal costume; mal esempio; malgrado; vedere di mal occhio, con poca simpatia; rispondere in malo modo; ridurre a mal partito, conciar male; arrivare in mal punto, inopportunamente; mal vezzo, cattiva abitudine. Ant. in mala ora, disgraziatamente (v. anche malora): al qual voi nella mia mala ora per moglie mi deste (Boccaccio); in senso simile anche mal dì (perciò che egli ti darebbe il mal dì, Boccaccio) e mal anno (diverso da malanno). Alcune di tali espressioni, e altre ancora, acquistano sign. così particolare, che si scrivono, o possono scriversi, in grafia unita (si vedano, queste, nella serie alfabetica; per le altre, scritte sempre in due parole, e per altre analoghe, qui non registrate, si veda sotto il secondo elemento). In seguito alla diffusione, e sull’esempio di malasanità, sono stati successivamente coniati nel linguaggio giornalistico altri composti, con analoga intenzione polemica verso comportamenti o situazioni caratterizzati da un evidente stato di disfunzione o corruzione o degradazione; essendo essi di apparizione sporadica, ci limitiamo a farne qui una semplice menzione: malaburocrazia, malademocrazia, malagiustizia, malainformazione, malapolitica, ecc.