marmo
(ant. màrmore) s. m. [lat. marmor -ŏris, dal gr. μάρμαρος]. – 1. a. In petrografia, roccia calcarea che, per effetto di metamorfismo dinamico o di contatto, ha assunto struttura cristallina a grana uniforme, così da rassomigliare a zucchero in pani (per cui viene anche detta talora calcare saccaroide), capace di acquistare, con la lavorazione, una buona levigatura e lucidatura; i componenti accessorî (quarzo, grafite, idrossido di ferro, ecc.) possono conferirgli colori e aspetti diversi, per cui si hanno m. monocromi, a tinta unita, e m. policromi, che, a seconda della distribuzione del colore, possono essere venati, listati, screziati, fioriti, dendritici, ecc. In Italia i tipi classici si trovano nelle Alpi Apuane, noti con il nome di marmi di Carrara, che, bianchissimi e traslucidi se puri, si presentano in numerose varietà: statuario, a grana fine, bianco ordinario, a grana più grossa, bianco chiaro, con qualche venatura grigia, bardiglio, grigio azzurrognolo. Oltre che dal colore e dall’aspetto, i marmi, spec. quelli antichi, possono prendere il nome dalla località di provenienza, come il m. atracio, il m. belga, il m. docimitico o sinnadico, il m. pario, il m. pentelico, il m. tebaico (per questi, e altri che hanno nomi particolari come il m. leucostitto e il m. ruiniforme, v. ai singoli agg.); m. fantastico, calcare cristallino con inclusioni carboniose. Nella terminologia tecnica, con sign. più ampio, ogni roccia che possa essere lucidata e lavorata in modo simile al marmo, così da costituire materiale per lastre, blocchi, colonne, ecc.: una cava di marmo; m. grezzo, m. lavorato, m. levigato; scolpire, intagliare, lavorare il m.; statua, pavimento, pareti, colonna di m.; un blocco, una lastra, un masso di marmo. b. M. artificiale, materiale resistente e lavabile ottenuto da un impasto di gesso, allume, solfato di zinco, solfato ferroso, cloruro di calcio e altro, colorato, pressato e lucidato, usato tal quale o applicato su lastre di sostanze diverse. 2. estens. Oggetto ricavato dal marmo, e in partic.: a. Scultura a tutto tondo, rilievo, lapide di marmo: una raccolta di marmi; un m. greco di squisita fattura; il m., sulla tomba, recava solo le date di nascita e di morte; e a questi marmi Venne spesso Vittorio ad ispirarsi (Foscolo, con riferimento a Vittorio Alfieri e alle tombe di S. Croce). b. Lastra di marmo, per decorazione: la facciata della chiesa è ricoperta di m. policromi. Marmi erano detti in passato gli scalini di marmo di S. Reparata (ora S. Maria del Fiore) a Firenze, da cui trasse il titolo un’opera (I marmi, 1553) di A. F. Doni, che immagina di riferire i discorsi tenuti da gente seduta a conversare presso quegli scalini. c. Tavola di marmo posta, spec. in passato, su alcuni mobili, o anche usata come piano per determinati lavori: il m. del cassettone, del comodino; il m. del tavolo di cucina; il m. del pittore, del farmacista; il m. del bancone del bar. Di qui l’uso, ancora vivo a Firenze, della parola nel sign. di «mancia lasciata sul banco»: «Questo per il marmo» disse, posando i due soldi di mancia sopra il banco (Pratolini). 3. In espressioni fig. la parola è usata come termine di confronto per indicare grande durezza, o bianchezza, freddezza e sim.: duro, freddo come (il) m.; faccia, cuore di m.; essere di m., duro, insensibile, ma anche freddo o bianco; avere le mani di m., bianche e fredde; diventare di m., diventar freddo e pallido, irrigidirsi (anche di cadaveri). Con altro senso: essere scolpito, inciso nel m., di parole o di avvenimenti indimenticabili. ◆ Dim. marmétto, marmino (v.).