menevadismo
s. m. (iron.) Atteggiamento di chi per protesta abbandona o dichiara di voler abbandonare la scena pubblica che frequenta o di cui fa parte. ♦ E fra i "classici" più tradizional-popolari (doppiogiochismo, doppiopesismo, cerchiobottismo, celodurismo, leccaculismo...) viene prendendo piede anche la corpulenta figura del menevadismo. Ministri e baroni e boiardi e statisti e registi e quant'altri continuamente minacciano o promettono "me ne vado" se non avviene o non ottengono un qualcosa. Popolare tradizione italiana: "Partiam partiam" all'opera, senza spostarsi di un passo. "Menevadooo, donne!" del merciaio ambulante. Grande successo di "Se ne vada, sennò faccio uno sproposito!" (alternato al "Vieni avanti, cretino") al varietà. (Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombi, Adelphi, 1998) • La cosa indubitabile è che quello strappo divenne a suo modo uno show, un messaggio mediatico, l’ultima volta in cui abbandonare uno studio poteva essere un graffio e una sorpresa. Adesso, nel tempo della postpolitica, il menevadismo è diventato quasi un rito, una forma differita di comunicazione politica. Dopo il famoso duello fra Berlusconi e l’Annunziata a Raitre, infatti, ci fu un’altra fiammata in cui l’abbandono dello studio corrispondeva a una cerimonia di primi piani rubati, di sorrisi infranti, di oddio che cosa succede. E fu esattamente il giorno in cui Clemente Mastella se ne andò da Annozero a metà del programma, senza preavviso, indispettito da una feroce vignetta di Vauro che lo definiva, come suo solito, Madre Mastella di Calcutta [...] (Luca Telese, lucatelese.it, 9 marzo 2008) • Mi chiedevo se davvero Calenda fosse di sinistra. Poi ho letto questo tweet. Sì, è di sinistra: ha lo scissionismo, o, meglio, il menevadismo, nel sangue. (Michele Cortelazzo, Facebook, pagina personale, 7 marzo 2018).
Derivato dalla frase me ne vado con l’aggiunta del suffisso -ismo, sul modello del s. m. menefreghismo.