merito2
mèrito2 (poet. mèrto) s. m. [dal lat. merĭtum, der. di merere «meritare»]. – 1. a. Il fatto di meritare, di essere cioè degno di lode, di premio, o anche di un castigo: premiare, punire, trattare secondo il merito. In genere però ha senso positivo, e indica il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa (materiale, morale o anche soprannaturale), in relazione e in proporzione al bene compiuto (e sempre sulla base di un principio etico universale che, mentre sostiene la libertà del volere, afferma la doverosità dell’agire morale): avere, non avere meriti; acquistare merito e acquistare meriti; riconoscere, o al contr. misconoscere, diminuire, negare il m., l’effettivo m. di una persona; onore al m.!, frase di riconoscimento ufficiale; premio, elogio, fama superiore al m.; dare o rendere m. a uno di una cosa, riconoscere apertamente il merito che ha; se l’impresa è riuscita, tutto il m. è suo; s’è preso per sé tutti gli onori, senza nessun suo m.; in tutto questo, io non ho né colpa né merito; farsi merito di qualche cosa, vantarsene (per lo più senza averne effettivo diritto); letter., ascrivere a merito a qualcuno; Perfetta vita e alto merto inciela Donna più sù (Dante). Locuz. particolari: punti di m., i voti che l’insegnante assegna all’alunno come giudizio sul profitto; primi, secondi, terzi a pari m., in concorsi o gare, quando due o più concorrenti vengono giudicati ugualmente meritevoli; concorso per m. distinto, forma di promozione prevista nella carriera degli impiegati dello stato. Nella denominazione di decorazioni e onorificenze: medaglia, croce al m. (civile, militare, ecc.); ordine al m. del lavoro, onorificenza concessa ai cittadini che si siano segnalati in uno dei varî rami dell’attività economica; ordine al m. della Repubblica Italiana, concesso come riconoscimento a coloro che abbiano speciali benemerenze verso la nazione. Con sign. più generico, nella locuz. per m. mio (o tuo, suo, ecc.), per opera mia, per il mio utile intervento, grazie a me, e sim.: se è riuscito nell’impresa, è solo per m. mio; talora iron., per colpa mia, tua, ecc. b. Azione o qualità che costituisce un merito, un giusto motivo per avere stima, lodi e onori: il suo maggior m. è la buona volontà; ha molti m., è ricco di meriti; tu mi attribuisci un m. che non ho; avere meriti verso la società, verso la patria, verso la scienza (dove ha sign. più vicino a benemerenza). Nel linguaggio religioso, i m. della passione di Gesù Cristo, i gloriosi m. della Vergine; con riguardo all’umanità, teologicamente s’intende per merito l’opera buona che, compiuta dall’uomo, è degna di premio soprannaturale. c. In molti casi, ha senso simile a pregio, valore e sim.: Girella (emerito Di molto merito) ... (Giusti); scrittore, artista di grande m., di poco, di nessun m.; non si può non riconoscere il m. delle sue opere; è una teoria assai discutibile che non ha neppure il m. dell’originalità. d. Nel linguaggio scient., in locuzioni del tipo fattore, cifra, coefficiente di merito, è sinon. di qualità; in partic., nei controlli automatici, cifra di m., l’inverso dei coefficienti che esprimono gli errori (di posizione, di velocità, ecc.) di un sistema, e tale che, più grande è la cifra di merito, minore è l’errore necessario perché il sistema di controllo intervenga; nei sistemi risonanti (elettrici, meccanici, ecc.), cifra o fattore di m., valore numerico che rappresenta l’esaltazione della grandezza di uscita rispetto a quella di eccitazione, in condizioni di risonanza; in elettrotecnica, fattore di m. di un magnete permanente, il valore massimo del prodotto dell’induzione magnetica per l’intensità del campo magnetico generati dal magnete stesso, indice della massima densità di energia del campo. 2. Compenso, ricompensa, soprattutto nella frase Dio ve ne renda merito (cioè vi dia il giusto premio per il bene che mi fate, per l’aiuto che mi date, ecc.), e altre simili: Rendavi su nel Ciel per me buon merto ... Iddio (Pulci). Anticam. tale sign. era anche più frequente e più generico: se io vi guerisco, che m. me ne seguirà? (Boccaccio). 3. a. Nel diritto processuale, la questione di diritto sostanziale sulla quale il giudice (detto pertanto giudice del m. in contrapp. a giudice di legittimità) è chiamato a emettere la propria pronuncia, giudicando cioè se ha ragione l’attore, o se la sua domanda dev’essere respinta, a partire dall’esame del caso concreto portato in giudizio. La competenza nel merito è di norma riservata ai giudici di primo grado e di appello, mentre ai giudici di terzo grado (Corte di cassazione) è riservata, con qualche eccezione, una competenza di legittimità, concernente cioè solo l’esame della corretta interpretazione e applicazione della legge da parte dei giudici di grado inferiore, a prescindere cioè da ogni esame del caso concreto portato in giudizio. Per estens., nell’uso com., entrare nel m. di una questione, esaminarla, trattarla, discuterla nei suoi aspetti essenziali; più genericam., giudicare, decidere in m. a qualche cosa, lo stesso che riguardo a (e così in frasi quali: in m. a quanto ti dicevo; in m. alle recenti notizie, ecc.). b. Nel diritto amministrativo, m. amministrativo, complesso di criterî pratici di opportunità e di convenienza ai quali deve ispirarsi la pubblica amministrazione nel porre in essere i suoi atti discrezionali; l’inosservanza di tali criterî produce il vizio di m. dell’atto amministrativo. 4. ant. Interesse, frutto del capitale, usura: ogni cosa restituita a Alessandro, e merito e capitale (Boccaccio); hanno battezzata l’usura in diversi nomi, come dono di tempo, merito, interesse, cambio ... (Sacchetti). Ancor oggi la parola sopravvive con questo sign. in Toscana, per indicare in partic. il frutto che il Monte dei pegni e prestiti si trattiene dalla somma data sul pegno.