modernismo
s. m. [der. di moderno]. – Tendenza al rinnovamento e alla riforma di idee, metodi, ecc., che si vogliono adeguare a esigenze moderne: il m. dà impulso al progresso; raro con sign. generico, è usato soprattutto come denominazione di movimenti. 1. M. cattolico (o, assol., modernismo), nella storia della Chiesa, termine con cui venne definito, inizialmente con valore negativo, il movimento di idee, che non ebbe mai carattere di omogeneità, delineatosi, tra la fine del sec. 19° e gli inizî del 20°, in alcuni ambienti del cattolicesimo europeo e che auspicava un rinnovamento della Chiesa alla luce dell’evoluzione della cultura moderna; gli esponenti di tale movimento (tra i più noti A. Loisy, G. Tyrrel, F. von Hügel e in Italia S. Minocchi ed E. Buonaiuti) sostenevano, spec. nel campo dell’esegesi biblica e della riflessione teologica, l’esigenza di tener conto delle conquiste del metodo filologico e degli stimoli delle teorie filosofiche contemporanee, sottolineando in partic. la necessità di abbandonare le posizioni neotomiste tradizionali per accogliere le tematiche dell’interiorità, dell’immanenza e dell’azione; questi principî, che ispirarono in Italia l’impegno politico e sociale di R. Murri e influenzarono l’opera di A. Fogazzaro, vennero condannati come eretici, tra il 1907 e il 1910, dal pontefice Pio X, che impose tra l’altro il giuramento antimodernista ai sacerdoti e ad alcune categorie di insegnanti di scuole religiose. 2. Nella storia della letteratura, movimento letterario ibero-americano della fine del 19° sec. che propugnava il ripudio delle forme letterarie tradizionali e l’adesione alla tecnica dei parnassiani e dei decadenti. 3. In arte e architettura, movimento affermatosi in Catalogna a cavallo fra 19° e 20° sec., sostanzialmente omogeneo al liberty (v.), i cui protagonisti furono Ll. Doménech i Montaner e A. Gaudí i Cornet.