moggio
mòggio s. m. [lat. mŏdius, prob. der. di modus «misura»; cfr. modio] (pl. le mòggia, meno com. i mòggi, ant. le mògge). – 1. a. Antica unità di misura di capacità per aridi, soprattutto per le granaglie, usata in Italia prima della adozione del sistema metrico decimale, con valori diversi nelle varie città. b. Con sign. fig. e valore generico (ant. o letter.), per indicare grande quantità: io le voglio mille moggia di quel buon bene ... (Boccaccio); ce n’è a moggia, in grandissima abbondanza. c. Recipiente che ha la capacità di un moggio (o piuttosto di un modio romano), usato per la misurazione degli aridi. Con questo sign., la parola è adoperata solo in alcune frasi fig. di origine biblica: mettere la fiaccola (o la lucerna) sotto il m., tacere una verità, nascondere una virtù (da Matteo 5, 15: neque accendunt lucernam et ponunt eam sub modio; Marco 4, 21; Luca 11, 33 e cfr. anche 8, 16); nascondersi, stare nascosto sotto il m., appartarsi, tenersi nascosto; e in genere tenere sotto il m., nascondere agli occhi altrui. La fiaccola sotto il m., titolo di una tragedia in versi (1904) di G. D’Annunzio. 2. a. Antica unità di misura agraria usata, con valori diversi, in varie province italiane. b. Seguito da una specificazione, superficie di terra sufficiente per la semina di un moggio di grano: un m. di terreno, di terra, di campo. ◆ Dim. moggétto, moggiòlo.