moneta
monéta s. f. [lat. monēta, propr. attributo di Giunone, che secondo gli antichi (come der. di monere «avvertire») significherebbe «l’avvertitrice», per i buoni avvertimenti dati dalla dea ai Romani nei pericoli; l’estensione di sign. è dovuta al fatto che la zecca di Roma si trovava nelle vicinanze del tempio dedicato a Giunone Moneta sul Campidoglio]. – 1. a. Dischetto di metallo coniato, al fine di favorire gli scambî, da autorità statali che ne garantiscono la lega, il titolo, il peso e il valore stabilito: una m. d’oro, d’argento (ant. m. bianca), di rame, di nichel; la coniazione delle m.; un bel gruzzolo di monete d’oro; raccolta, collezione di monete; gettare la m., per decidere la sorte o per prendere una decisione qualsiasi, facendo «testa o croce» (v. croce, n. 6 c); m. di peso o a pieno peso, che ha il peso esatto; m. calante, di peso inferiore a quello che dovrebbe avere; m. tosa o tosata, di peso inferiore per essere stata limata a scopo fraudolento; fig., ant., m. tosa, persona d’animo falso, di cui è bene non fidarsi. Spesso con valore collettivo: battere, coniare moneta; buona m., quella il cui valore intrinseco è pari o superiore al valore nominale; più tecnicamente: m. perfetta o schietta, quando il valore reale o commerciale del metallo coincide con quello nominale o legale della moneta; m. forte, quando lo supera; m. imperfetta o debole, quando è inferiore; m. di necessità, in numismatica, la moneta emessa e circolante in circostanze eccezionali, durante il corso di avvenimenti che impediscono la coniazione regolare, come, per es., le monete divise in più parti per rimediare alla deficienza di spiccioli. b. Sempre con valore collettivo, ma con accezione più ampia, l’insieme di tutto ciò che, in un dato Paese e in un dato periodo, è accettato come mezzo di pagamento, e usato quindi come intermediario di scambî, misura dei valori e riserva di valore; da un punto di vista storico la moneta si presenta come una particolare merce (merce-m.) che, in culture di periodi storici successivi alla fase del baratto, viene scelta a rappresentare i valori di tutte le altre merci secondo rapporti quantitativi volta a volta definiti, e che originariamente può consistere in beni diversi (capi di bestiame, pelli, conchiglie, sale, ecc.), poi sostituiti quasi universalmente dall’oro e da altri metalli preziosi (per le loro caratteristiche di scarsità, trasferibilità, inalterabilità, omogeneità, divisibilità) in polvere, lingotti e infine coniati in forme diverse; alla m. metallica è poi stata affiancata la m. cartacea, costituita da banconote (biglietti di banca e di stato a corso legale) o, in un’accezione più ampia, anche dagli altri mezzi di pagamento, come cambiali, buoni del tesoro e altri titoli di credito (si è andata inoltre diffondendo la cosiddetta m. elettronica, che consiste nella disponibilità di potere d’acquisto ottenuta con mezzi informatici: v. monetica): la circolazione della m.; cambio della m.; m. buona, falsa; m. legale, corrente, fuori corso; m. forte o debole (relativamente a moneta cartacea e non convertibile in oro), secondo che la sua domanda sul mercato dei cambî superi l’offerta o vi resti inferiore, con conseguente rialzo o ribasso del suo valore in confronto ad altre monete. In partic.: m. divisionale o divisionaria (comunem. m. spicciola), le frazioni, i sottomultipli dell’unità monetaria; m. calda, espressione con cui vengono indicati i capitali a breve termine che vengono trasferiti tra i diversi paesi alla ricerca del migliore rendimento; m. chiave, moneta di un paese che abbia particolare importanza nel mondo finanziario, che costituisca cioè una delle piazze finanziarie principali (dollaro, sterlina); m. di conto o ideale, o anche immaginaria, non effettivamente coniata, pur essendo considerata parte o addirittura base di un sistema monetario, usata come misura dei valori e strumento contabile (tali erano, per es., la lira italiana d’oro e lo scudo europeo o ECU); m. manovrata (v. manovrato), m. di convenzione (v. convenzione, n. 1); m. di pagamento, nella pratica mercantile, la moneta in cui, a norma del contratto di compravendita, deve effettuarsi il pagamento dell’obbligazione e che può essere quella vigente nel paese del creditore, quella vigente nel pase del debitore o quella di un altro paese; m.-deposito, espressione usata da alcuni economisti (come traduz. dell’ingl. deposit-currency) per mettere in evidenza la funzione di mezzo di pagamento che hanno i depositi bancarî attraverso la circolazione degli assegni; m. esterna, quella immessa nell’ambito del sistema economico dalle autorità monetarie; m. interna, quella che entra in circolazione attraverso l’operare del sistema bancario; m. unica, adottata in più paesi a seguito di accordi internazionali (per es. l’euro nell’Unione Europea); m.-misura, che può servire come termine di confronto nella misura del valore di altre monete in quanto ha contenuto stabile di fino; quasi m., espressione entrata nel linguaggio economico per indicare l’insieme dei conti e depositi bancarî non utilizzabili a vista, dei buoni di cassa e dei buoni ordinarî del Tesoro a breve scadenza, in quanto capaci di assolvere alcune delle funzioni monetarie accanto alla vera e propria moneta. La m. cattiva scaccia la buona, aforisma economico (noto anche come «legge di Gresham»), con cui si mette in luce come, ogni volta che si trovino a circolare nello stesso paese due monete aventi lo stesso valore legale ma diverso valore intrinseco (o una moneta metallica e una cartacea che ha perduto parte del suo valore pur rimanendo convertibile nella prima), quella a minor valore intrinseco tende fatalmente a sostituire nella circolazione l’altra, in quanto quest’ultima viene tesoreggiata oppure fusa; l’espressione è usata a volte anche in senso fig. per indicare che le persone scaltre, gli ambiziosi, i mestatori prevalgono, spec. nella politica, mentre le persone migliori e più oneste restano inascoltate e nascoste. c. Nell’uso com., soprattutto settentr., lo stesso che moneta spicciola, spiccioli: mi dispiace, ma non ho moneta; mi può cambiare in moneta questa banconota da dieci euro? 2. estens. a. Nell’uso ant., denaro in genere, somma di denaro: essere avido di moneta; si può acquistare con poca m.; non per sapere studiano ma per acquistare moneta o dignitade (Dante); per tema di morire con moneta la guardia corrompono (Boccaccio); Del buon mercante inteso alla m. (Gozzano), al guadagno, a far soldi. Oggi solo in qualche frase: il tempo è m., variante del prov. il tempo è denaro (è, cioè, prezioso e va tenuto in gran conto); è capace di litigare per la vile m.; lavorare solo per la vile m., soltanto per il guadagno, senza passione o interesse per quello che si fa; pagare in m. sonante, in contanti. b. Nell’ippica, la somma di denaro messa in palio per una corsa: corsa per cavalli di tre anni con moneta per duemila euro. 3. Usi fig.: prendere, accettare per buona m. (o anche per m. corrente, per m. spicciola), prestar fede alle parole altrui, accettare le sue ragioni, le sue scuse, le sue attestazioni ritenendole vere o sincere, e sim.; pagare di buona m., compensare lautamente un servigio, corrispondere interamente a un obbligo, e sim.; pagare di pari m., o della stessa m., ricambiare un danno, un torto, un’offesa in ugual modo. 4. In botanica, m. del papa o m. degli scudi, e anche erba m. o erba monetaria, nomi region. dell’erba detta comunem. lunaria. ◆ Dim. monetina (nel sign. 1 a: una monetina da 10 centesimi); spreg. monetùccia, moneta di scarso valore; pegg. monetàccia.