monologo
monòlogo s. m. [dal gr. tardo μονόλογος «che parla solo», comp. di μονο- «mono-» e –λογος «-logo», raccostato per il sign. a dialogo] (pl. -ghi). – 1. Scena drammatica in cui un attore parla e recita da solo: già presente nel teatro greco, dove il prologo della tragedia ne ha spesso la forma, frequente nel teatro latino come poi nel moderno, fu bandito dal verismo ottocentesco per ricomparire nel teatro contemporaneo come espediente tecnico necessario per far penetrare gli spettatori nel pensiero dei personaggi, talvolta contrastante con quello che gli stessi fanno o dicono. Anche, la parte del testo da rappresentare sulla scena che ha forma di monologo: il m. di Amleto, nella tragedia omonima di W. Shakespeare. 2. Breve composizione scenica, in prosa o in versi, scritta per essere recitata da un solo attore: i m. di E. Novelli, di L. A. Vassallo, nel teatro italiano del secondo Ottocento. Per estens., discorso fatto da una persona tra sé e sé, o che immagina di rivolgere ad altri. 3. Nella storia della letteratura, m. interiore, modo e procedimento della tecnica narrativa, che consiste nel rendere in forme dirette, cioè senza alcun intervento, commento o giudizio da parte dell’autore, il pensiero più o meno razionalmente organizzato di un personaggio: è procedimento di cui è possibile trovare anticipazioni anche in altre età, ma che ha avuto largo impiego soprattutto a partire dagli inizî del Novecento, in partic. dopo la pubblicazione dell’Ulysses di J. Joyce (1922); va distinto dal flusso di coscienza (v. coscienza, n. 1 d), per una minor incidenza del subconscio e quindi per un più sorvegliato andamento dell’associazione logica e sintattica.