morale1
morale1 agg. e s. f. e m. [dal lat. moralis, der. di mos moris «costume», coniato da Cicerone per calco del gr. ἠϑικός, der. di ἦϑος: v. ethos, etico1, etica]. – 1. agg. a. Relativo ai costumi, cioè al vivere pratico, in quanto comporta una scelta consapevole tra azioni ugualmente possibili, ma alle quali compete o si attribuisce valore diverso o opposto (bene e male, giusto e ingiusto); libertà m., capacità di scegliere e operare, assumendosene in coscienza la responsabilità (responsabilità m.), in accordo con principî ritenuti di valore universale o contro di essi; senso m., la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ritenuta presente in misura maggiore o minore in ogni uomo, innata oppure acquisita con l’educazione e l’esperienza (per altro sign. dell’espressione, v. più avanti, al n. 1 e); coscienza m., consapevolezza del valore morale del proprio agire, anche come principio dell’operare; persona m., l’uomo in quanto capace di discernere e di operare bene o male; qualità m.; perfezione m.; indifferenza m., mancanza di senso morale. Pazzia m., anormalità caratterizzata da indifferenza morale e tendenza alla criminalità e al cinismo (è espressione oggi disusata e i quadri psichici che vi si riferiscono vengono considerati nell’ambito delle psicopatie). In partic., filosofia m., la parte della filosofia che ha per suo oggetto l’azione e il comportamento dell’uomo, ne analizza i modi, le condizioni e i fini, spesso in relazione a leggi, principî o norme m. a cui tale comportamento si attiene o dovrebbe attenersi (in questo sign. il termine è contrapp. a teoretico ed è usato anche come s. f., la morale); teologia m., la parte della teologia cristiana (contrapp. alla teologia dogmatica) che, presupponendo la rivelazione e la grazia, definisce i modi del comportamento umano in funzione di un fine soprannaturale. E con riferimento a scritti attinenti la filosofia morale: Opere m. (lat. Moralia), titolo convenzionale delle opere minori di Plutarco; Lettere m. a Lucilio, di Seneca; Operette m., del Leopardi. b. Nell’uso com., di cosa che è conforme a una norma morale ritenuta universalmente valida, o che non offende, in un dato contesto storico e sociale, i principî morali correnti (contrapp. a immorale): un libro m., scritto con fine m., con intenti m.; un racconto, uno spettacolo m.; anche con valore neutro: non è m. che tu agisca così. Riferito a persona, che agisce secondo una legge morale (contrapp. a immorale e amorale). c. Con valore limitativo, di cosa che si riferisce al mondo dello spirito, in varie espressioni in cui si contrappone per lo più a materiale, talvolta a logico, intellettuale, ecc.: certezza m., che nasce non tanto da prove di fatto o da evidenza teoretica quanto da intima convinzione, e può divenire principio di azione; e analogam. impossibilità m., di agire in un dato modo; obbligo m., sentito interiormente e non imposto da altri; scienze m., le scienze filosofiche, giuridiche e storiche, in quanto distinte dalle scienze fisiche e matematiche (classe di scienze m., in accademie); forza m. (opposto a forza fisica), forza del carattere; autorità m., determinata da stima, affetto, prestigio personale; soddisfazione m.; sofferenze m., dell’animo, non del corpo; violenza m.; pressione m.; aiuto m., che consiste in assistenza affettuosa e consiglio, senza soccorsi economici o altrimenti concreti; schiaffo m., atto che costituisce un’umiliazione, un’offesa all’altrui dignità. Si dice anche talvolta di cosa che è nella coscienza di tutti (o soltanto nell’opinione di chi parla), anche se non corrisponde a una realtà di diritto; così nelle frasi: Milano è la capitale m. d’Italia; il vincitore m. di una gara, l’atleta che avrebbe meritato di vincerla, e che ha perduto solo per circostanze sfortunate. d. Nel linguaggio giur., ente m., corpo m., persona m., denominazioni che apparivano nella codificazione civile italiana del 1865 per designare la persona giuridica; assenti nella codificazione attuale, permangono solo in alcune leggi speciali (l’espressione persona m. figura nel Codex juris canonici del 1985, can. 113, ed è esclusivamente riferita alla Santa Sede e alla Chiesa Universale). e. Senso m., nella prevalente tradizione esegetica medievale, uno dei quattro modi d’interpretazione della Bibbia; gli altri sono: letterale, allegorico, anagogico. 2. s. f. a. Insieme di consuetudini e di norme riconosciute come regole di comportamento da una persona, un gruppo, una società, una cultura: m. collettiva, individuale; secondo la m. corrente, o comune; la m. civile, politica, sociale; nelle grandi città e nelle campagne del centro-sud vigeva ancora un certo tipo di m. popolare, piuttosto libero, certo, ma con tabù che erano suoi e non della borghesia, non l’ipocrisia, ad esempio (Pasolini); delitti contro la m. pubblica. Con uso assol. (che implica la considerazione di una morale universalmente valida): cosa contraria alla m.; gente senza m., amorale; le norme, i principî, i dettami della morale. Con riferimento al rispetto delle norme morali, cioè al comportamento soprattutto di una collettività: m. rigida, m. rilassata; doppia m., espressione che è stata usata a designare l’atteggiamento e il comportamento di sette o di correnti religiose le quali, mentre esigono che il singolo, nella sua interiorità, rispetti le istanze più severe della morale, nello stesso tempo, inserendolo in un sistema di rapporti sociali e politici, gli impongono di adeguare la sua condotta esterna alle esigenze della società, comunque egli senta nell’interiorità della coscienza; m. professionale (più com. etica professionale), espressione designante l’applicazione di principî morali all’esercizio delle varie professioni (di medico, avvocato, funzionario dello stato, ecc.), da cui nasce la determinazione dei doveri relativi alla particolare funzione svolta dall’individuo in seno alla società. b. Dottrina filosofica intorno al bene e al male; è sostanzialmente lo stesso che etica (o filosofia morale): trattato, professore, corso di m.; con denominazioni limitative, riferentisi spesso al filosofo che l’ha elaborata, alla scuola filosofica, alla religione in cui si è formata: m. epicurea, stoica; m. utilitaristica (v. utilitarismo); m. cristiana, evangelica; Osservazioni sulla m. cattolica, opera di A. Manzoni. c. L’insegnamento pratico che deve trarsi dalla lettura di una favola; anche la frase che lo enuncia alla fine di essa, secondo una tradizione che risale alle favole attribuite a Esopo (introdotta in esse con la formula ὁ μῦϑος δηλοῖ ... «la favola insegna ...», in lat. fabula docet: v. fabula): se vogliamo trarre la m., da un discorso, da un’esperienza vissuta; la m. della favola, anche in frasi scherz. dell’uso fam., nel sign. di «conclusione del discorso»: la m. della favola è che hai bisogno di soldi: o sbaglio? 3. s. m. a. Insieme delle manifestazioni della vita intellettuale e psichica, in contrapp. a quelle della vita vegetativa: il m. influisce sul fisico. b. Stato d’animo, disposizione psicologica a reagire in modo positivo o negativo ai diversi avvenimenti della vita quotidiana: esser giù di m.; deprimere il m. di qualcuno; avere il m. a terra; rialzare, tener su, tenere alto il m. di qualcuno; il m. delle truppe era altissimo. ◆ Avv. moralménte, con moralità, in modo tale da non offendere i principî etici dominanti: agire, comportarsi moralmente; dal punto di vista della morale: il tuo comportamento è moralmente riprovevole.