mostro2
móstro2 (ant. mònstro) s. m. [lat. monstrum «prodigio, portento», dal tema di monere «avvisare, ammonire»]. – 1. a. Essere che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale e come tale induce stupore e paura; è per lo più formato di membra e di parti eterogenee, appartenenti a generi e specie differenti, con aspetto deforme e dimensioni anormali. Nella storia della cultura questi esseri di forme non naturali costituiscono una creazione tipica della mente umana, ora assunti come reali e caricati di significati complessi (soprattutto d’ordine religioso e morale, ma anche fisico), ora presi come simboli di realtà altrimenti non rappresentabili né esprimibili. Largamente presente nelle antiche mitologie, e nelle tradizioni religiose e popolari, il mostro può occupare tanto la sfera del divino o del bene, del positivo, quanto quella del suo opposto, e cioè del diabolico, del male, del negativo: per sua natura si colloca sempre fuori dell’umano e del corso ordinario degli eventi, incarna una realtà sfuggente e spesso ambigua, a volte occupa gli spazî ai confini del mondo conosciuto, si ritrova nei simboli onirici. Rientrano nel mondo dei mostri tanto forme umanoidi (uomini con due teste o due corpi, con gli occhi sul petto, ecc.), quanto animali (il grifo, la chimera) o forme miste (piante zoomorfe, cinocefali, centauri, sfinge, ecc.), e anche forme più complesse. Nelle tradizioni dotte, antiche e medievali, i mostri – la cui realtà non è discussa – sono studiati nei significati della loro natura, in quanto simboli di realtà e insegnamenti d’ordine spirituale, segni di cambiamenti imminenti, prefigurazione di eventi futuri. b. In biologia, termine, ora caduto in disuso, per indicare un individuo animale o vegetale che presenta anomalie o malformazioni di tale intensità da renderlo fortemente diverso dai soggetti normali e, talora, soprattutto nelle specie animali, non vitale. 2. In senso fig.: a. Persona brutta e deforme, il cui aspetto incute un senso di orrore e repulsione: le scottature sul viso lo hanno fatto diventare un m.; spesso con uso iperb.: che m. di donna!; è un nanerottolo, un vero mostro. b. Con riferimento alle qualità morali, persona malvagia e crudele, che gode nel fare del male agli altri: vi riconosco ... o mostri Della terra. Al vostro morso è caduta la pietà (Quasimodo); anche in senso attenuato: era impossibile non crederle, si sarebbe dovuto pensare a un vero mostro (Buzzati); Eichmann era un m. nel senso che era il prodotto perfetto fino alla mostruosità di una burocrazia partita per la tangente del non ritorno, della disumanità (Giorgio Bocca). c. Nel linguaggio giornalistico, persona che si è macchiata di delitti efferati, bestiali: il m. del Tevere; il m. di Firenze, e sim. 3. a. letter. Prodigio, portento (secondo il sign. etimologico): O de le donne altero e raro mostro (Petrarca); di piacer, quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d’affanno, è gran guadagno (Leopardi). b. Seguito da una specificazione, persona che possiede certe qualità, positive o negative, in misura straordinaria, molto superiore al normale: un m. di dottrina, di bravura, di sapere, d’ingegno; un m. di perfidia, di cattiveria, di crudeltà; è un’arca di scienze, è un m. di virtù (Goldoni). c. Persona dotata di eccezionali qualità intellettuali (anche nell’espressione m. di natura): Rimbaud è stato ... una sorta di m. letterario (Soffici). M. sacro, espressione, derivante dal titolo (Les monstres sacrés, 1940) di un dramma dello scrittore fr. Jean Cocteau, con la quale si indicano i grandi e prestigiosi attori del teatro e del cinema e, per estens., chiunque goda di particolare notorietà e di riconosciuta fama nell’ambito della propria attività: i m. sacri dello sport, della politica, del giornalismo. ◆ Dim. mostricino, non com. mostricciòlo (letter. mostricciuòlo); più com., e di tono spreg., mostriciàttolo (ant. mostricciàttolo), riferito a persona o animale deforme, sgraziato, o anche semplicem. brutto, e in senso fig. a cose, creazioni, produzioni riuscite male.