mulo
s. m. (f. -a) [lat. mūlus]. – 1. In zoologia, l’ibrido derivato dall’unione di un asino con una cavalla, simile per la sua conformazione all’asino, con testa pesante, orecchie grandi e grosse, criniera corta, groppa stretta (caratteristica principale è che sia il maschio sia la femmina sono sterili); è particolarmente resistente alle fatiche e quindi usato come animale da tiro, da soma e anche da sella, soprattutto su strade di montagna e in località prive di strade carreggiabili: montare, cavalcare un m.; andare, salire a dorso di m.; frasi prov.: chi nasce m. bisogna che tiri i calci, ognuno si comporta secondo la propria natura; tra tanti m. ci può stare un asino, all’ostinazione si può preferire perfino l’ignoranza. Con riferimento alla sua natura cocciuta e caparbia, quest’animale è spesso termine di paragone in frasi quali duro, caparbio, cocciuto, ostinato come un m.; quindi, in usi fig., essere un m., fare il m., di persona cocciuta e ostinata. 2. In biologia, il termine è usato talvolta per indicare un ibrido interspecifico sterile (anche vegetale). 3. Attraverso il sign. volgare e spreg. di bastardo (cfr. mulatto), il termine è divenuto, nei dialetti veneti orientali (Trieste, Istria e Dalmazia), sinon. di ragazzo e al femm. di ragazza, talora con sign. spreg. (un m. di strada, un monello, un ragazzaccio), ma spesso con valore generico e anche affettivo: una bella m.; il mio m., la mia m., il mio ragazzo, la mia ragazza. ◆ Dim. mulétto, anche con accezioni specifiche (v. muletto1); accr. mulòtto, meno com. mulóne; pegg. mulàccio.