musa2
muṡa2 s. f. [dal lat. Musa, gr. Μοῦσα]. – 1. Nella mitologia e nella tradizione letteraria greco-romana, ciascuna delle nove figlie di Zeus e Mnemosine, protettrici del canto, della poesia e della danza, e quindi tradizionalmente invocate dai poeti classici all’inizio delle loro opere (con questo sign., si scrive generalmente con l’iniziale maiuscola, come nome proprio): Musa, quell’uom di multiforme ingegno Dimmi (Pindemonte, traducendo Omero); la tradizione si continuò in età posteriore, presso poeti cristiani: O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate (Dante); O Musa, tu che di caduchi allori Non circondi la fronte in Elicona (T. Tasso). Al plur., con sign. collettivo, Le Muse, simbolo della poesia e delle altre arti, di cui si consideravano ispiratrici: darsi alle M.; essere alunno delle M.; esser devoto alle M.; essere ispirato dalle M.; allor l’Italia Fu giardino alle Muse (Foscolo). 2. Con uso più chiaramente fig., quasi come nome com. (e pertanto scritto con la minuscola): a. L’ispirazione poetica, e la poesia stessa, soprattutto in quanto possa determinarsi secondo il genere letterario, l’ambiente storico, il tono o altri caratteri: la m. epica, lirica, patriottica; la m. tragica dell’Alfieri; le m. italiane, toscane; m. procace, sorridente, giocosa; m. estemporanea. b. Il poeta stesso: Se fede merta nostra maggior m. (Dante), se merita fede il nostro maggior poeta, Virgilio. c. La donna ispiratrice del poeta: Laura, la m. del Petrarca; anche il sentimento ispiratore: la m. del Tasso è la malinconia. d. Decima m., locuz. usata talvolta per indicare iperbolicamente una poetessa degna d’assidersi accanto alle nove Muse della mitologia; o una nuova forma di ispirazione, come l’Energia (D’Annunzio); o ancora, la nuova arte del cinema.