muto
agg. [lat. mūtus, voce derivata da una radice onomatopeica mu che, come il gr. μῦ-, riproduceva la formazione di suoni inarticolati prodotti a bocca chiusa]. – 1. a. Di persona che non può fare uso della parola, perché affetta da mutismo; per la sua genericità, non è voce usata nel linguaggio scient., in cui si adoperano i termini relativi al tipo di disturbo specifico, quali mutacico, sordomuto, anartrico, afasico. Spesso con funzione di s. m. (f. -a): un muto, una muta; il linguaggio dei muti. Per estens., anche di animali che non hanno voce articolata: essere m. come un pesce, scherz., di persona che si astiene dal parlare; anatra m., nome con cui sono comunem. chiamati gli uccelli anatidi del genere Cairina, per la loro incapacità di emettere i versi tipici della maggior parte delle anatre (producono infatti solo alcuni suoni gutturali). b. Con tono enfatico, di persona che tace occasionalmente, che resta senza parola, per commozione, forte sentimento, ecc.: restò m. a lungo; m. d’ammirazione, d’orrore, di meraviglia; Ogne lingua deven tremando muta (Dante); percossa, attonita La terra al nunzio sta, Muta pensando all’ultima Ora dell’uom fatale (Manzoni); rimasi in questo dolore, m., per un tempo indefinito (Ferdinando Camon); in tono non enfatico: essere o mantenersi m. con tutti su di un argomento, non parlarne, tenere il segreto. c. Per estens., di cose che rimangono silenziose: Parla di me col tuo cenere m. (Foscolo), che non risponde alle sue parole; il pianoforte restò m. a lungo; o in genere di cosa che non ha voce: ma d’averla sulla carta quella conversazione, con parole mute, fatte d’inchiostro ... son di parere che [il lettore] non se ne curi molto (Manzoni); che non trova espressione: immensa doglia muta Nel cor tremante (Alfieri); un m. dolore; m. ammirazione; una m. ma profonda simpatia; che non fa più parlare di sé: m. è l’antica potenza. Anche, di luogo in cui non si sentono più le voci che si era soliti sentirvi: le m. stanze; Nel m. orto solingo (Carducci). Con usi traslati, poet.: I0 venni in loco d’ogne luce muto (Dante), privo d’ogni luce, totalmente oscuro; Non vive ei forse anche sotterra, quando Gli sarà m. l’armonia del giorno ...? (Foscolo), quando egli non vedrà più l’armonia del giorno, o questa non desterà più in lui, perché defunto, alcun sentimento; Quando muti questi occhi all’altrui core ... (Leopardi), quando questi miei occhi saranno divenuti inespressivi, non parleranno più al cuore d’altri. Nel linguaggio medico, si dice clinicamente muta una malattia che non presenta sintomi rilevabili all’esame clinico. d. In locuz. particolari: personaggi m., nelle rappresentazioni teatrali, quelli che non parlano; scena m., senza personaggi, vuota; scena m. e detti, scena vuota, con successiva entrata degli stessi personaggi che erano presenti nella scena precedente; fig., fare scena m., non parlare affatto, e, in partic., nelle interrogazioni scolastiche, non rispondere ad alcuna domanda; arte m., detto del cinema (cinema m.) prima dell’avvento del sonoro; carta m., la carta geografica sulla quale non siano segnati i nomi delle località; analogam., atlante m. (v. atlante2, n. 1 a). Alfabeto m., quello con cui conversano talvolta per gioco i bambini, senza pronunciare a voce le parole ma riproducendo la forma scritta delle singole lettere, per lo più in stampatello, con opportuna disposizione, o col movimento, delle dita. e. Come locuz. avv., poco com., alla muta, al modo dei muti: intendersi alla muta, e anche parlare alla muta; in senso più generico, senza parlare, copertamente, segretamente: agire alla muta. 2. In linguistica: a. Vocale m., consonante m., fonema rappresentato nella scrittura (di regola, come residuo di una pronuncia antica), ma non pronunciato. Per es., è muta nella pronuncia italiana l’iniziale di ho, hai, ha, hanno, che non ha avuto mai suono proprio ed è scritta solo per ragioni etimologiche (lat. habeo, habes, habet, habent) e distintive (per evitare confusioni con parole omofone). In francese, con uso più tecnico, si chiama «e» muta (in contrapp. alla «é» chiusa e alla «è» aperta) la lettera e non accentata, in quelle parole in cui è, secondo i casi, fatta muta (per es., mon petit ‹mõ pti›, finie ‹finì›), o pronunciata ë (per es., brebis ‹brëbì›); «h» muta si chiama la lettera h iniziale in quelle parole in cui non impedisce il legamento (per es. l’homme), in contrapposizione all’«h» aspirata che, pur essendo sempre muta nella pronuncia di oggi, lo impedisce (per es. le héros). b. Consonanti m., secondo la terminologia dei grammatici greco-latini, le consonanti esplosive. Il termine è tuttora adoperato qualche volta, e si trova anche esteso a comprendere tutte quelle consonanti (esplosive, affricate, fricative) che non possono (a differenza delle nasali, laterali, vibranti) valere come sonanti. Più spesso il termine ricorre nella espressione muta più liquida (lat. muta cum liquida) per indicare i gruppi consonantici costituiti da un’esplosiva (p, b, t, d, k, ġ) o da una fricativa labiodentale (f, v) più una liquida (l, r) come nelle parole prato, treno, flusso. 3. In enologia, si dice del mosto d’uva quando non presenta la fermentazione alcolica, in seguito all’azione di basse temperature o di sostanze antisettiche (per es., acido solforoso), che inibiscono l’attività dei lieviti della fermentazione. ◆ Dim. mutino, come s. m. (f. -a), bambino muto; nell’insegnamento elementare dell’alfabeto e della grammatica è chiamata talvolta mutina la lettera h in quanto priva di suono proprio (v. sopra, al n. 2 a). ◆ Avv. mutaménte, senza parlare, in silenzio: mi espresse mutamente la sua disapprovazione.