naufragare
v. intr. [dal lat. tardo naufragare; v. naufragio] (io nàufrago, tu nàufraghi, ecc.; aus. essere e avere). – 1. Fare naufragio, riferito sia a nave o imbarcazione che affonda per grave avaria, per collisione, per incendio, per la violenza della tempesta, o per altre ragioni (in questa accezione, ha l’aus. essere), sia alle persone, equipaggio e passeggeri, che vi sono imbarcate (aus. avere, meno com. essere): il bastimento è naufragato a 200 km dalla costa; i pescatori che hanno naufragato (o sono naufragati) ieri notte sono tutti salvi. 2. fig. a. (aus. essere) Fallire, detto di impresa, iniziativa, azienda e sim., che abbia insuccesso o vada in rovina: la proposta naufragò nell’indifferenza generale; col passare dei minuti vedeva n. le sue ultime speranze; la società è miseramente naufragata; in partic., n. in porto (o in vista della riva), subire danno o rovina quando sembrava di essere ormai al sicuro e di avere il successo a portata di mano. b. poet. Sprofondare in uno stato di estasi, di ebbrezza, di contemplazione, quasi smarrendo il senso della propria individualità o la coscienza della realtà concreta: così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare (Leopardi), è per me dolce, cioè, abbandonarmi nella contemplazione e meditazione dell’infinito.