neocafone
s. m. e agg. (iron.) Nuovo cafone, parvenu. ◆ Il passaggio dal vecchio paese contadino al ricco paese neocafone si può compendiare in due parole: un tempo c’era la plebe povera e ineducata, oggi c’è la plebe ricca e maleducata. (Marcello Veneziani, Giornale, 25 luglio 2002, p. 6, Interni) • C’è poi il bon ton dell’occhiale, che, come quello del telefonino, sempre più spesso viene disatteso. Ormai è difficile che qualcuno si scopra lo sguardo quando viene presentato, per non parlare dell’esercito di «neocafoni» che anche a pranzi e cene mantiene la maschera tra sé e gli altri. Uno scudo, una trincea che fa sentire protetti. A volte anche più forti. Gli uomini si avvolgono lo sguardo in modelli «cattivi», aggressivi. E il look, come spesso succede, si politicizza. Mai senza le lenti scure, a destra. Modelli un po’ retrò alla Brecht a sinistra. (Maria Corbi, Stampa, 5 maggio 2003, p. 13, Cronache Italiane) • rincara la dose Curzio Maltese, sottolineando come «dal fiume di intercettazioni» emergerebbe soltanto quella che lui definisce «la tragedia di una borghesia ridicola». Le intercettazioni? Sarebbero utili perché mostrano il volto di un’«Italia guidata dall’élite dei neocafoni». (Martin Venator, Secolo d’Italia, 1° luglio 2006, p. 1, Prima pagina).
Composto dal confisso neo- aggiunto al s. m. e agg. cafone.
Già attestato nel Corriere della sera del 9 luglio 1992, p. 5, In primo piano (Ugo Savoia).