neodialettale
s. m. e f. e agg. Chi o che ripropone l’uso del dialetto, anche come forma di espressione poetica. ◆ Dice bene [Giulio] Ferroni che l’opera dei due grandi poeti in lingua del primo Ottocento «si proietta in un integrale orizzonte europeo». Ma ciò accade ogni volta che ci troviamo di fronte all’autentica poesia. In tal caso essa è anche più che europea: è universale. Dunque anche [Carlo] Porta e [Giuseppe Gioacchino] Belli sono europei, anzi universali. Se, scegliendo il dialetto infatti, Porta e Belli avessero inseguito la strada del cosmopolitismo, avrebbero dimostrato di non capire la natura del loro codice, come rischia di accadere a qualche odierno neodialettale. (Franco Brevini, Corriere della sera, 12 maggio 1999, p. 33, Cultura) • L’impronta di [Gianfranco] Contini si avverte nel soggetto e nel taglio dei primi lavori iselliani: Dossi e Porta, ovvero la linea dell’espressivismo lombardo, indagato sul piano stilistico ed ecdotico, cioè nell’intersezione tra filologia e critica. In quella direzione [Dante] Isella avrebbe compiuto una maratona, esplorando l’immenso territorio della civiltà letteraria lombarda con strumenti metodologici sempre più raffinati. Si pensi agli studi su [...] [Beppe] Fenoglio e i neodialettali friulani o romagnoli ([Amedeo] Giacomini, [Tonino] Guerra, [Raffaello] Baldini). (Pietro Gibellini, Avvenire, 4 dicembre 2007, p. 31, Agorà) • E poi anche nei blog, nelle e-mail e nelle chiacchiere è di moda lasciar cadere un anglismo in mezzo alle formule neodialettali: «ci ribecchiamo all’happy hour», «very nice, minchia». Fa molto Nando Moriconi, ma l’importante è non accorgersene. (Stefano Bartezzaghi, Repubblica, 4 marzo 2008, p. 46, Cultura).
Composto dal confisso neo- aggiunto all’agg. dialettale.
Già attestato nella Repubblica del 1° febbraio 1991, p. 32, Cultura (Paolo Mauri).