o, O
‹ò› s. f. o m. (radd. sint.). – Quattordicesima lettera dell’alfabeto latino, la cui forma deriva dal segno usato dai Greci per indicare in origine la vocale o, breve o lunga, prima che si differenziassero nella scrittura (dal sec. 7° a. C.) i due segni per la o breve o omicron (o) e per la o lunga o omega (ω); i Greci a loro volta l’avevano adottato dagli alfabeti semitici, dove aveva però altro valore. Per la sua forma costante e caratteristica, la lettera o è portata a volte per esempio tipico di rotondità; così, in partic., nella locuz. tondo come la O di Giotto, di cosa perfettamente tonda, e, fig., di persona sciocca (con allusione, da un lato, al circolo perfetto che Giotto una volta avrebbe disegnato d’un sol tratto con mano sicura, e, dall’altro, con gioco di parole sul sign. proprio e fig. di tondo). Anche fuori di similitudine, per significare una figura circolare: a queste parole il duca levò un rumore, facendo uno O più grande che una bocca di pozzo (Cellini). In italiano, la lettera o rappresenta graficamente due distinti fonemi vocalici, la o aperta o larga ‹ò› e la o chiusa o stretta ‹ó›, appartenenti entrambi alla serie velare: nella pronuncia dei due suoni le labbra sono arrotondate e spinte un poco in avanti, ma l’apertura di esse e l’abbassamento della lingua sono maggiori per la o aperta, minori per la o chiusa. I due diversi timbri dànno la possibilità di distinguere parole di grafia identica ma di suono diverso: per es. bòtte «percosse» e bótte «recipiente», còlto part. di cogliere e cólto «istruito», còrso «della Corsica» e córso part. di correre, indòtto «non dotto» e indótto part. di indurre, scòrsi pass. rem. di scorgere e scórsi pass. rem. di scorrere, ecc. In poesia, la differenza tra ò e ó non è d’ostacolo alla rima. La distinzione, pienamente valida per la o tonica, è solo facoltativa per la o semitonica (con accento secondario: es., la o di fortemente e di sordamente); e la o del tutto atona non ammette distinzione alcuna di timbro, sicché, per es., le o di postino (der. di pòsta) e di posticino (der. di pósto) hanno la stessa pronuncia, che è generalmente chiusa. L’ortografia italiana corrente, che rappresenta con la sola lettera o due vocali con valore distintivo (sia pure soltanto in posizione tonica), si presta a molte incertezze di pronuncia, accresciute dal fatto che in una parte dei dialetti italiani non è conosciuto che uno dei due timbri della o. Dei molti espedienti grafici escogitati per rimediarvi dal ’500 in poi, è entrato nell’uso (limitatamente alla grafia didattica o a singole parole che occorra distinguere di volta in volta) soltanto quello consistente nel segnare l’accento acuto sulla o tonica chiusa (ó), l’accento grave sulla o tonica aperta (ò): regola, questa, seguita anche nel presente Vocabolario per le voci italiane, costantemente negli esponenti, e, dove occorra per particolari motivi, anche nel testo. La diversa origine etimologica delle ò e delle ó italiane è chiarita dalle seguenti regole fondamentali di grammatica storica: 1) la ó italiana continua la ó del tardo latino, in cui s’erano venuti a confondere, scomparsa la funzione distintiva della quantità, ŭ e ō del latino classico (per es. gióva, lat. iŭvat; óra, lat. hōra); 2) la ò italiana continua (dittongata in uò se in sillaba libera) la ò del tardo latino, ŏ del latino classico (per es. uòmo, lat. hŏmo; còrpo, lat. cŏrpus); 3) la ò italiana è pure l’esito dell’au latino (per es. òro, lat. aurum); 4) la o tonica delle voci dotte, qualunque ne sia l’origine, e fatta solo eccezione per casi d’analogia, è pronunciata aperta (per es. nòbile, dal lat. nōbĭlis). Anche la o atona, non diversamente dalla o tonica, continua la o latina, breve o lunga, e la u latina breve (per es. bontà, lat. bŏnitatem; giovenca, lat. iŭvenca; faccio, lat. faciō; vezzo, lat. vitiŭm). Ma tutte queste regole etimologiche sono turbate in più casi da eccezioni. Usi più comuni della lettera o, O come abbreviazione e simbolo: nella forma maiuscola puntata (O.) è abbrev. di nomi di persona che cominciano con questa vocale (Orazio, Ofelia, ecc.); senza punto, è abbrev. di ovest nelle carte geografiche italiane (e così NO nord-ovest, SO sud-ovest), alternandosi nell’uso con W, che è invece abbrev. dell’ingl. west. In astronomia, si designa con O una classe spettrale di stelle di elevatissima temperatura, dette anche stelle a elio ionizzato in quanto presentano nei loro spettri righe dell’elio ionizzato. In chimica, O è simbolo dell’ossigeno (O2 indica l’ossigeno ordinario, mentre O3 indica l’ozono); come prefisso, o- è abbrev. di orto-. In matematica, si indica generalmente con O un punto di riferimento, per es. l’origine di un sistema di coordinate, il punto d’intersezione di due rette e quindi il vertice di un angolo, oppure il punto di vista nella prospettiva. Erroneamente, il segno della O maiuscola viene talvolta adoperato per indicare il gruppo sanguigno zero, che dovrebbe invece essere indicato con il segno della cifra 0 (zero). Collocato, in carattere piccolo, in esponente a un numero, è simbolo del grado (per es., un angolo di 45°; a 24° di temperatura), o più genericam., suggerisce la lettura del numero come ordinale (un 12° = un dodicesimo, ma, al femm., la 12a parte, e, al plur., due 12i, due dodicesimi). Nel codice alfabetico internazionale, la lettera o viene convenzionalmente identificata dal nome Oscar.