offendere /o'f:ɛndere/ [lat. offendĕre, propr. "urtare contro"] (io offèndo, ecc.; pass. rem. offési, offendésti, ecc.; part. pass. offéso, ant. offènso). - ■ v. tr. 1. a. [recare danno a qualcosa] ≈ danneggiare, rovinare. b. [recare danno a qualcuno] ≈ ferire, ledere. 2. a. [pronunciare parole o compiere atti lesivi della dignità di una persona: i tuoi sospetti mi hanno gravemente offeso] ≈ colpire, ferire, mortificare, turbare. ‖ addolorare. ↔ compiacere, fare piacere (a). b. (estens.) [pronunciare parole ingiuriose contro qualcuno, anche assol: non o.!] ≈ ingiuriare, insolentire, insultare, oltraggiare, vilipendere. 3. [non tenere in alcun conto: o. la giustizia; la tua incredulità offende il mio amor proprio] ≈ calpestare, disprezzare, oltraggiare, vilipendere. ↓ contravvenire (a). ‖ violare. ↔ onorare, rispettare. 4. (fig.) [riuscire molesto o spiacevole a uno dei sensi, oppure al senso estetico: o. il buon gusto] ≈ dare noia (a), disturbare, infastidire, molestare, urtare. ■ offendersi v. recipr. [scambiarsi insulti: si offendono continuamente] ≈ ingiuriarsi, insolentirsi, insultarsi. ■ v. intr. pron. [provare turbamento, risentimento e sim.: non è il caso di o. per così poco!] ≈ adombrarsi, (lett.) adontarsi, (fam.) aversela a male, impermalirsi, (lett.) ombrarsi, piccarsi, (fam.) prendersela (a male), risentirsi.
offendere. Finestra di approfondimento
Offendere fisicamente e moralmente - Si può danneggiare qualcuno in molti modi, con le percosse, con i comportamenti, con le parole, ecc. Se il danno arrecato è fisico, o. è un verbo più formale e ant., ma anche più generico, rispetto a colpire, danneggiare, ferire: la prima metà delle notti leggeva e scriveva: questo m’indebolì di salute e mi offese il petto (A. Genovesi). Se il danno è particolarm. grave, si può usare anche il com. rovinare: mi sono rovinato gli occhi sui vocabolari. Decisamente più frequente, oggi, è il sign. fig. di o. nel senso di «colpire, danneggiare, arrecare una perdita» e sim., riferito a sentimenti, concetti e sim.: il brutto è sublime quando offende il nostro senso morale ed estetico e ci gitta in violenta reazione (F. De Sanctis); le sue idee offendono il buon senso. Numerosi possono essere i sinon. di quest’accezione: avvilire, calpestare, ferire, disprezzare, insultare, negare, mortificare, oltraggiare: tanto spreco insulta la povertà; un testo così superficiale mortifica la tua intelligenza; la vostra diffidenza oltraggia la mia onestà (C. Goldoni). Se il danno arrecato è morale, il verbo più usato è o.: perché offende una donna che non si può vendicare? (E. De Amicis). Mortificare è in genere usato per offese meno vistose ma più pungenti: una mancia di due soldi avvilisce chi la fa, e mortifica chi la riceve (C. Goldoni). Anche colpire e ferire indicano di solito offese particolarm. dolorose: con la sua supponenza colpisce i più insicuri; la sua arroganza certe volte può ferire. Ledere è verbo formale, per offese sia fisiche sia morali: la pugnalata non lese alcun organo vitale; l’esito negativo dell’esame ha leso il suo amor proprio.
Offendere con le parole - Se si offende con le parole, il verbo più com. è insultare: per non aver voluto insultare villanamente quella ragazza, fui posto agli arresti per tre mesi (G. Verga). I sinon. sono tutti più formali e con sfumature particolari. Ingiuriare e insolentire indicano in genere offese personali e, soprattutto il secondo verbo, intese più come frasi impertinenti e irrispettose che nel senso di parole scurrili: ingiuriava chiunque gli diceva una parola più di quelle che volesse ascoltare (F. Tozzi); non gli basta tormentarmi con delle visite, vuole ancora insolentire con lettere (C. Goldoni). Vituperare è estremamente formale e ha, spesso, il sign. di biasimare, più che quello di o.: bisognerebbe vituperar Voi, me e tutta questa buffonesca razza umana (A. Fogazzaro). Sinon. adatti e meno formali di vituperare sono disonorare, infamare, infangare, macchiare: hai disonorato questa famiglia; ha infangato il buon nome di suo padre. Con screditare si indica il togliere prestigio o credibilità a qualcuno o a qualcosa: è ben probabile che per tutto vi sieno degli spiritosi talenti, che cerchino di mettere in ridicolo le persone e di screditare gli Autori (C. Goldoni). Oltraggiare e vilipendere sono usati soprattutto per atti o discorsi ritenuti offensivi nei confronti di autorità, organi dello stato e sim.: l’imputato oltraggiò il giudice: per uno scudo d’argento vilipendere così la Madonna (A. Oriani).
Offese - Offesa è il termine più generico, adatto per tutti gli usi ma per lo più per quello morale: essa si lagnava con lo stesso calore delle offese grandi e di quelle piccole (I. Svevo). Oltraggio e vilipendio, così come i verbi ad essi connessi, si riferiscono soprattutto a valori morali condivisi, ad autorità e sim.: oltraggio al pudore; vilipendio alla bandiera nazionale. Violazione è d’uso prevalentemente giuridico, e ha quasi sempre un complemento: violazione dei diritti umani. Se l’offesa è considerata particolarm. grave e volontaria, può essere detta affronto: questo è un affronto alla mia onestà. Un’offesa meno grave, ma caratterizzata da mancanza di rispetto, anche involontaria, può essere detta insolenza: i sarcasmi erano arrivati fino alle insolenze, le insolenze quasi alle minacce (A. Oriani). Le offese fatte con le parole sono dette per lo più insulti: mi ha riempito di insulti. Ingiuria e improperio, quest’ultimo usato soprattutto al plur., sono termini più formali: egli si morse le labbra per rattenere una ingiuria plebea (A. Oriani); una lettera piena di improperi. Ancora più formale è contumelia: ad ogni rimostranza rispondeva con le grida, con le contumelie, qualche volta con violenze più ignobili (G. D’Annunzio). Parolaccia è termine più com. e fam., e anche più generico: infatti si addice non soltanto a parole negative dette contro qualcuno, ma a qualsiasi parola ritenuta scurrile: ti ho detto mille volte che non mi piace sentirti dire le parolacce. Nello stesso ampio sign. di parolaccia sono intesi i più formali sconcezza, scurrilità e volgarità. Regno della parolaccia, ovvero dell’insulto volgare contro qualcuno, è soprattutto la metafora, che attinge per lo più al repertorio della scatologia, della sessualità (con allusioni soprattutto alla prostituzione e all’omosessualità) e della zoologia: tra tutte le parolacce che gli disse, «porco» era la meno offensiva. Un’offesa può essere costituita da una parola o una frase non da tutti, o in tutti i contesti, considerate negative: sentirmi dare del professore fu per me un’offesa. Un insulto e, a maggior ragione, una parolaccia hanno invece necessariamente sempre e soltanto accezioni negative. Al plur., insulti può essere sostituito dall’eufem. fam. male parole: l’arbitro fu preso a male parole da tutto lo stadio.