ordine
órdine s. m. [lat. ōrdo ōrdĭnis]. – 1. a. Disposizione regolare di più cose collocate, le une rispetto alle altre, secondo un criterio organico e ragionato, rispondente a fini di praticità, di opportunità, di armonia, e sim.: mettere, tenere in o. le proprie carte, i vestiti, le pratiche d’ufficio; disporre in bell’o. gli oggetti di un’esposizione; questo libro è fuori o., non si trova nel luogo in cui dovrebbe stare; conservare, variare, mutare, sconvolgere l’o. di qualche cosa; di più persone, mettersi in o., disporsi ordinatamente nelle file o sim. Anche nominando il tutto con riguardo alla distribuzione dei singoli oggetti: mettere, rimettere in o. i cassetti, gli armadî, gli scaffali di una biblioteca; iron., che o. in questa stanza! In senso fig., con riferimento a cose non materiali e concrete: rimettere in o. le proprie idee; ha bisogno di mettere un po’ d’o. nella sua vita. b. Per estens., con riferimento non alla distribuzione spaziale ma allo stato in cui un oggetto o un ambiente è tenuto, in quanto sia più o meno rispondente a determinate esigenze: tenere in o. i macchinarî, le armi, i registri, i quaderni, la casa; il sergente fece un giro d’ispezione nelle camerate per assicurarsi che tutto fosse in ordine; che bellezza, la cucina è già tutta in ordine! Di persona, essere in o., essere pulito, avere gli abiti e i capelli a posto, ecc.: se i bambini sono in o., possiamo uscire; più genericam., siamo in o. per partire, ma più com. è tutto in o. per la partenza, è stato fatto e preparato tutto ciò che è necessario alla partenza. c. Con senso più ampio, sistema organico di leggi che reggono l’universo: l’o. della natura; l’o. del creato; l’o. dei cieli; il mirabile o. del mondo; le cose tutte quante Hanno ordine tra loro, e questo è forma Che l’universo a Dio fa simigliante (Dante). Con altro sign., o. di natura, o. naturale e, più fam., o. delle cose, il modo in cui normalmente si svolgono gli avvenimenti naturali e umani: è nell’o. della natura che i vecchi muoiano prima dei giovani. Nel linguaggio teol.: o. naturale, il complesso delle cause create da Dio, e in partic., con riguardo al fine ultimo dell’uomo, l’insieme dei mezzi disposti dal Creatore perché si possano raggiungere alcune fondamentali verità di fede; o. soprannaturale, il complesso dei doni elargiti da Dio all’uomo per il pieno raggiungimento del suo fine soprannaturale, cioè la salvezza eterna. d. Modo con cui i varî elementi di una serie si susseguono (o devono susseguirsi) nello spazio, nel tempo o in una successione ideale: o. progressivo; o. crescente, decrescente, rispettivam. dal più piccolo al più grande o viceversa; o. alfabetico; l’o. delle stagioni, degli avvenimenti; seguire l’o. cronologico o dei tempi; o. gerarchico; o. delle precedenze, stabilito dal cerimoniale e seguìto nelle cerimonie ufficiali; nello sport, con riferimento ad alcuni giochi (tennis, pallavolo), o. di battuta, il regolare susseguirsi dei giocatori nel mettere in gioco la palla o il pallone; numero d’o., quello che indica il posto occupato da ciascun elemento della serie; parola d’o., nelle biblioteche (v. parola, n. 6 b); indicare l’o. di successione dei papi; distinguere i significati di un vocabolo secondo un o. logico o storico; narrare seguendo (o rispettando) l’o. dei fatti; l’o. delle parole nella frase; o. diretto, inverso, nella sintassi; l’o. degli argomenti, in una trattazione o discussione. Con lo stesso sign. nelle locuz. in ordine ..., per ordine ..., seguendo cioè l’ordine indicato o determinato dalla parola (aggettivo o complemento) che segue: elenco degli attori in o. alfabetico; disporre la fila per o. d’altezza; le nomine sono fatte per o. di età, di merito, di anzianità nel grado; è il quinto in o. di tempo, tenendo conto cioè della successione temporale. e. Più astrattamente, il criterio, il metodo che si segue nel disporre ordinatamente le cose o gli elementi, anche ideali, di un insieme: dire, narrare con o.; procediamo con o.; andiamo per o., secondo la norma di successione stabilita o consueta; scrive con o. e chiarezza; la materia è sistemata con o. rigoroso. In senso più soggettivo, nelle locuz. avere, non avere o., amore dell’o., e sim., indica l’attitudine a essere più o meno ordinato, cioè esatto, preciso nel proprio lavoro o nelle proprie abitudini. f. Nell’industria tessile, o. laterale, il grado di polimerizzazione e l’orientamento delle macromolecole costituenti una fibra, cioè la compattezza della fibra medesima. 2. Usi più partic., impliciti nei sign. generali ora definiti: a. Nell’esercito, modo di disporre o schierare i soldati: o. di marcia; o. di battaglia, di combattimento; lanciarsi all’attacco in o. serrato; o. chiuso, o. sparso, a seconda che i soldati siano disposti in formazione compatta, o a distanza l’uno dall’altro per offrire minor bersaglio al nemico; avanzare, ritirarsi in buon o. (quest’ultima frase è assai com. anche in senso fig., iron., riferita a chi, sentendosi incapace di raggiungere l’intento propostosi, o prevedendo d’essere battuto, desiste inaspettatamente e quasi di soppiatto dall’impresa). Analogam., in marina: o. di una formazione, la posizione relativa delle navi di una stessa fila di una forza navale o di un convoglio; o. di marcia, la disposizione delle varie unità di una forza navale in navigazione; in partic.: o. diretto, quando le navi sono disposte secondo la successione normalmente stabilita; o. inverso, quando tale formazione è invertita. Per estens., al plur., lo schieramento stesso, la formazione delle truppe, le file: Rinforzossi tre volte il fiero assalto Sottentrando a vicenda ordini e schiere (Tassoni); uscire dagli o.; rientrare negli o.; sconvolgere gli o. nemici. b. Funzionamento regolare e disciplinato di un’istituzione, di una collettività, connesso con l’osservanza di determinate norme e regolamenti: famiglia, scuola, ufficio dove regna l’o., dove manca l’o.; mettere, rimettere o. in un ufficio, in un’azienda, in un servizio pubblico, in un’amministrazione; la disciplina stessa: mantenere l’o. nella classe, tra gli alunni. Più genericam. (anche con riguardo a persona singola), contegno disciplinato, coscienza dei proprî doveri, soprattutto nella locuz. richiamare all’o. qualcuno; il richiamo all’o. è anche un ammonimento disciplinare che in taluni casi il presidente di un’assemblea rivolge a un membro di essa. c. Con riferimento all’intera società, condizione (detta anche o. pubblico) caratterizzata da quiete, rispetto delle leggi e delle istituzioni, controllo delle tensioni sociali e politiche: tutelare, garantire l’o. (o l’o. pubblico); turbare, sovvertire l’o. (o l’o. pubblico); mantenere il buon o.; il ristabilimento, la restaurazione dell’o.; servizio d’o., quello di cui sono incaricati reparti militari o di polizia durante pubbliche manifestazioni, perché tutto si svolga disciplinatamente (anche, quello organizzato dai promotori di una manifestazione politica o sindacale allo scopo di proteggere i partecipanti, evitare incidenti, ecc.), e, correntemente, il gruppo di persone incaricate di tale servizio; le forze, i tutori dell’o., le forze di polizia (carabinieri, polizia di stato, ecc.); partiti d’o. (o dell’o.), i partiti che sostengono il vigente assetto politico e sociale, quindi conservatori, moderati, o comunque contrarî a riforme radicali; talvolta anche, con sign. affine: uomo, persona d’ordine; l’o. regna a Varsavia (fr. l’ordre règne à Varsavie), espressione con cui si parafrasava il giudizio espresso (16 settembre 1831) alla Camera francese dal ministro degli Esteri H. Sebastiani, in risposta a un’interrogazione dell’opposizione repubblicana sugli sviluppi della rivoluzione polacca, già soffocata nel sangue nei giorni precedenti dall’autocrazia zarista (tale espressione è divenuta poi proverbiale per indicare ironicamente ogni ristabilimento dell’ordine attuato reprimendo l’aspirazione alla libertà); prov., l’o. è pane e il disordine è fame. In diritto penale, reati contro l’o. pubblico: in senso stretto, l’istigazione e l’associazione a delinquere, l’istigazione a disobbedire alle leggi, la devastazione e il saccheggio, la pubblica intimidazione; in senso lato, tutti i reati che attentano alla sicurezza della convivenza civile. In diritto l’espressione o. pubblico ha anche un sign. diverso da quello ora definito, intendendosi con essa il complesso dei principî desumibili dal sistema normativo a cui non si può assolutamente derogare: o. pubblico interno; o. pubblico internazionale. d. Per estens., il modo stesso con cui una società è organizzata, e l’insieme delle leggi che disciplinano i rapporti sociali, politici, economici: o. sociale, assenza di conflitti aperti tra classi o gruppi all’interno della società; sovvertire l’o. sociale, attuare progetti rivoluzionarî, tendere all’anarchia, ecc.; o. democratico; o. mantenuto con la repressione poliziesca; l’o. costituito, l’insieme delle leggi e delle istituzioni che garantiscono (o impongono con la forza) il perdurare di una determinata condizione della società; aspirare a un o. nuovo (O. nuovo è il nome del periodico politico-culturale fondato a Torino nel 1919 da A. Gramsci, A. Tasca, U. Terracini e P. Togliatti come organo del movimento dei consigli di fabbrica, che affiancò poi l’opera del Partito comunista italiano). Al plur., nell’uso ant. o letter., lo stesso che ordinamenti, cioè leggi, norme, costituzioni di carattere politico, giuridico, amministrativo: o. civili, politici (e analogam. o. militari, intesi a organizzare l’esercito); veruna cosa fa tanto onore a uno uomo che di nuovo surga, quanto fa le nuove legge e li nuovi o. trovati da lui (Machiavelli); la osservanza delle buone leggi e buoni o. (Guicciardini); esso medesimo diede leggi, stati e o. civili alle nuove genti (Leopardi). e. Nel linguaggio scient., in contrapp. a disordine, la proprietà globale di un sistema complesso che presenti un grado elevato di organizzazione interna, dal punto di vista sia della configurazione spaziale sia della differenziazione dei costituenti (riferita, per es., alla distribuzione dell’energia tra essi); in partic., in meccanica statistica, tale proprietà può essere espressa in base alla probabilità (e quindi all’entropia, v.) dello stato macroscopico del sistema, che risulta tanto più piccola quanto maggiore è il grado di ordine microscopico. 3. Con riferimento allo svolgimento nel tempo, o. del giorno (fr. ordre du jour), locuz. usata con varî sign. affini, connessi con quello generico di ordine (ossia successione ordinata) nelle operazioni previste per una giornata: a. Nel linguaggio milit., foglio che il comando di un corpo dirama quotidianamente per assegnare i turni di servizio, indicare le operazioni non comprese nel normale programma giornaliero e dare tutte le altre notizie e comunicazioni che interessano la vita del corpo (analogam., in alcuni servizî pubblici e nelle compagnie teatrali, foglio che contiene disposizioni, turni di lavoro, e sim.). b. Nelle assemblee, elenco degli argomenti che devono essere successivamente trattati e discussi in una seduta, e il complesso degli argomenti stessi: seguire, invertire l’o. del giorno; procedere secondo l’o. del giorno; levare una materia dall’o. del giorno; discutere l’o. del giorno; mettere all’o. del giorno, inserire tra gli argomenti da trattare; passare all’o. del giorno, chiudere la discussione di un argomento passando alla trattazione della questione successiva. c. estens. Proposta scritta, di carattere programmatico, che si mette ai voti in un’assemblea: formulare, presentare, votare, approvare, respingere, ritirare un o. del giorno; di qui, prob., l’espressione mozione d’ordine, usata soprattutto nelle assemblee politiche per indicare una proposta concernente l’ordine della discussione e riguardante in genere questioni formali e procedurali. d. Mettere, citare all’o. del giorno: propr., citare onorevolmente nell’ordine del giorno militare un soldato, un ufficiale, un reparto che si siano particolarmente distinti in fatti d’armi, in episodî di valore; per estens., segnalare un avvenimento o una persona alla stima e ammirazione pubblica. Fig., essere all’o. del giorno, essere un fatto consueto o attuale (soprattutto di cose spiacevoli): i tumulti popolari in quel periodo erano all’o. del giorno; simili episodî di delinquenza sono oggi all’o. del giorno. 4. a. Serie di più cose uguali disposte lungo una stessa linea orizzontale: gli o. di banchi, di remi, di rematori, nelle galee; un lungo o. di stanze, di colonne, di specchi; il campo è recintato con un doppio o. di pali. Nei teatri e sale di spettacolo: ordini di sedie, di poltrone, le varie file allineate nella platea; primo, secondo, terzo o. di palchi (procedendo dal basso verso l’alto), le varie serie di logge divise o no in palchi. Con senso generico, in architettura, serie, per lo più orizzontale, di elementi architettonici simili, disposti in modo da costituire un organismo, strutturale o formale, continuo (per es., le serie di capriate o travature di un tetto, i filari orizzontali di pietre di una parete, le finestre di uno stesso piano, le arcate di un loggiato e sim.). Nell’architettura classica, ciascuno dei sistemi architettonici caratteristici dei diversi stili (o. dorico, ionico, corinzio, composito, ecc., per i quali v. ai rispettivi agg.), consistente nella particolare proporzione, composizione, forma e decorazione degli elementi principali (trabeazione, capitello, colonne e piedistallo) di un edificio. In senso fig., nell’uso letter., serie di elementi che si succedono nel tempo: Giovin signore, o a te scenda per lungo Di magnanimi lombi ordine il sangue ... (Parini); Religïon che con diversi riti Le virtù patrie e la pietà congiunta Tradussero per lungo o. d’anni (Foscolo); tale sarai tenuta e chiamata per lungo o. di secoli (Leopardi). b. Per estens., serie di cose distinte da altre per caratteri particolari: sono due o. di fatti profondamente diversi; io l’ho fatto per un o. di ragioni differente. In partic., o. d’idee, con accezioni diverse nelle varie frasi in cui la locuz. è usata: essere nello stesso o. d’idee (di altri), pensarla allo stesso modo riguardo a determinati fatti o situazioni; entrare in un certo o. d’idee, cominciare a pensare o giudicare in un determinato modo, secondo determinati criterî o principî; entrare nell’o. d’idee, essere nell’o. d’idee, di fare qualcosa, ventilare o formulare un proposito, un’intenzione, prendere una decisione. Spesso anche con i sign. di tipo, indole, natura, carattere, in alcune frasi quali: questioni d’o. amministrativo; necessità d’o. pratico; per considerazioni d’o. generale, e sim. c. Con ulteriore estensione di sign., il posto che una singola cosa occupa in un ordinamento, in una graduazione stabilita, soprattutto in rapporto al valore, al pregio, alla qualità; nell’uso com., il termine è sempre specificato da un numerale ordinale o da aggettivi di sign. affine (come superiore, inferiore, infimo); trattoria, albergo, teatro, cinematografo, locale di prim’o., di second’o., di terz’o.; in genere, di prim’o. indica qualità ottima, eccellenza nel suo genere, e si dice anche di persona: uno spettacolo, un pranzo, un trattamento di prim’o.; è un artista, un architetto, uno scienziato (ma anche, per antifrasi, un farabutto, un imbroglione, un imbecille, ecc.) di prim’o.; al contrario, di terz’o., d’infimo o., detto spec. di alberghi, trattorie, locali pubblici, indica qualità scadente. d. Nel linguaggio scient., ma anche nell’uso com., o. di grandezza, numero (generalm. una potenza di 10) con il quale si indicano approssimativamente il valore di una grandezza fisica, le dimensioni di un corpo, una quantità, ecc.: l’o. di grandezza delle dimensioni del nucleo atomico è 10–15 metri; un reddito elevato, dell’o. di grandezza di centomila euro. e. In cristallografia, o. di un asse di simmetria, il numero che indica quante volte un cristallo nel giro di 360° viene a trovarsi in posizione di ricoprimento. f. In chimica, numero che indica la somma degli esponenti con cui le concentrazioni delle singole specie chimiche che reagiscono tra loro compaiono nell’espressione della velocità di reazione: quanto più esso è alto tanto più la velocità di reazione cresce al crescere delle concentrazioni. 5. In matematica: a. Unità del prim’o., del second’o., del terz’o., ecc., nel sistema di numerazione decimale, le unità semplici, le decine, le centinaia, ecc. b. Derivata di second’ordine, o di ordine n, di una data funzione, la funzione che si ottiene derivando successivamente 2 volte, o n volte, la funzione data; quindi, equazione differenziale di ordine n, quella in cui compare la derivata di ordine n di una funzione incognita, ma non le derivate di ordine superiore. c. Con sign. affine a quello di ordinamento, il senso o il verso secondo il quale si succedono certi elementi di un insieme: relazione d’o., relazione tra gli elementi di un insieme che permette, dati due elementi a, b qualsiasi di quell’insieme, di dare un senso alle espressioni «a precede b» e «a segue b», in modo che, se a e b sono distinti, si presenti sempre uno e uno solo dei due casi. d. Numero caratteristico di un insieme o di un ente: o. di una matrice quadrata, o di un determinante, il numero delle sue righe e delle sue colonne; o. di una curva algebrica piana, il numero delle sue intersezioni con una generica retta del piano; o. di una curva algebrica sghemba, il numero delle sue intersezioni con un generico piano dello spazio; o. di una superficie algebrica, il numero delle sue intersezioni con una generica retta dello spazio. 6. Ciascuna delle categorie in cui è distinta una pluralità di cose o di esseri: scuole dell’o. elementare, dell’o. medio, dell’o. superiore. In partic., nella classificazione zoologica e botanica, gruppo sistematico di ambito superiore alla famiglia e inferiore alla classe (per es., la classe dei mammiferi è suddivisa negli ordini insettivori, roditori, ecc.; quella degli insetti negli ordini ortotteri, coleotteri, ecc.). 7. Insieme di persone che, per condizione sociale, per dignità, per grado gerarchico, per professione, per comunanza di vita, e sim., forma una categoria, un corpo a sé. In partic.: a. Classe, ceto, categoria sociale (accezione oggi poco com.): in ogni o. di cittadini; gente d’infimo o.; nell’antica Roma: l’o. senatorio, l’o. equestre, l’o. dei plebei, l’o. degli scribi, dei pubblicani; nella società francese precedente alla Rivoluzione, i tre o., il clero, la nobiltà, il terzo stato. b. Nell’età comunale, uno dei nomi con cui erano designate le arti, cioè le corporazioni di artigiani, mercanti, ecc. Nell’uso attuale (con parziale conservazione di tale sign.), o. professionali, associazioni pubbliche obbligatorie fra tutti coloro che esercitano una libera professione per il cui esercizio è richiesta una laurea o un diploma, istituite allo scopo di tutelare, disciplinare e regolare l’esercizio della professione stessa: l’o. degli avvocati e procuratori, dei medici, dei farmacisti, dei giornalisti, degli ingegneri, dei geometri, ecc. Con altro sign., o. giudiziario, l’insieme degli organi cui è affidato l’esercizio della funzione giurisdizionale. c. Ormai ant., ciascun grado nella gerarchia delle cariche pubbliche: i varî o. di magistrati; in passato il termine indicò anche le singole magistrature, con riguardo all’autorità o dignità: di qui l’ant. proverbio tosc. negli o. pari, i pareri son dispari. d. Nel collegio cardinalizio, ciascuna delle tre classi in cui esso si divide: o. dei vescovi, che comprende i sei cardinali titolari delle sette diocesi suburbicarie; o. dei preti, che comprende cinquanta cardinali titolari di antiche chiese romane (titoli cardinalizî); o. dei diaconi, comprendente quattordici cardinali, titolari di altre chiese di Roma (diaconie cardinalizie). e. Nella Chiesa cattolica, o. religiosi, società di vita comune, approvate dall’autorità ecclesiastica, i cui membri tendono alla perfezione evangelica emettendo i tre voti perpetui di povertà, castità e obbedienza: prim’o., quello che risale direttamente al fondatore (per es., i domenicani); second’o., quello delle monache che adottano la regola del prim’ordine (per es., le domenicane); terz’o., quello costituito da laici che vogliono, per quanto permette il loro stato, partecipare alla vita e agli scopi dell’ordine (per es., quello di s. Francesco); o. mendicanti; o. dei canonici regolari; o. dei francescani (o di s. Francesco); o. dei trinitarî; fondare, istituire un ordine. In genere, la parola ordine, spec. se usata assol., è scritta con iniziale maiuscola (e così per gli ordini cavallereschi): entrare nell’O.; il generale dell’O.; l’abito, la regola dell’Ordine. f. O. cavallereschi: associazioni religiose e militari sorte nel medioevo per la difesa dei luoghi santi, i cui membri, stretti da voti religiosi, si ripromettevano di provvedere ai malati, ai pellegrini e ai feriti delle spedizioni in Terrasanta (O. degli ospitalieri di s. Giovanni di Gerusalemme, poi detto O. di Malta; O. dei Templari; O. dei Teutonici); o anche istituzioni civili fondate da un sovrano o da uno stato, che conferiscono onorificenze a cittadini benemeriti (O. della Giarrettiera; O. della Ss. Annunziata; O. al merito della Repubblica, O. al merito del lavoro, attualmente esistenti in Italia). g. Col senso generico di grado d’una gerarchia, la parola è stata usata anche per indicare i cori angelici e i cori dei beati: Angeli, ... Arcangeli, ... Troni ... questi tre o. fanno la prima gerarchia (Dante). 8. Nella Chiesa cattolica, il sacramento (detto più compiutamente O. sacro o sacramento dell’O.) che conferisce, con il sacerdozio, una potestà spirituale in virtù della grazia che rende idonei a esercitare i varî uffici ecclesiastici: conferire, ricevere l’Ordine. Prima del Concilio Vaticano II, erano detti o. sacri i varî gradi della gerarchia ecclesiastica che portano al sacerdozio, distinti in o. maggiori (suddiaconato, diaconato e presbiterato) e o. minori (ostiariato, lettorato, esorcistato e accolitato); con la riforma operata dal Concilio, tale gerarchia è stata abolita, insieme con le relative denominazioni, per dare luogo a tre soli gradi o ordini sacerdotali, costituiti da diaconato, come via di preparazione al sacerdozio, presbiterato, che è il sacerdozio stesso, e episcopato, che rappresenta la pienezza del sacramento dell’Ordine. 9. a. Espressione d’una volontà, formulata di solito in tono assoluto e preciso, a voce o per iscritto, da chi ha l’autorità d’imporre che sia espletato un servizio o compiuto un atto qualsiasi; in questo sign. (molto com. e derivato per sviluppo del sign. fondamentale) è in genere sinon. di comando, da cui tuttavia solo in pochi casi può essere sostituito: o. rigoroso, severo; dare l’o. di fare, di andare, di tacere; ho l’o. di non muovermi di qui; sono state poste due sentinelle al cancello con l’o. espresso di non far entrare nessuno; ricevere, eseguire un o.; obbedire, disobbedire, ottemperare, mancare, venir meno a un o.; rispettare un o.; l’ho fatto per o. (meno bene dietro o.) del direttore; ho agito secondo gli o.; per o. superiore; d’o. delle autorità. Con riferimento a ordini scritti: leggere un o.; portare, recapitare, trasmettere, spedire un o.; è arrivato l’o. di partire (o di partenza). Frasi di uso com.: questi sono gli o., nel comunicare seccamente a subordinati le volontà proprie o dei superiori; gli o. non si discutono; non ricevo ordini da nessuno; obbedisci: è un o.!, per non lasciar dubbio sul carattere imperativo, perentorio delle proprie parole; chi t’ha dato l’o.?, a chi ha fatto cosa che non doveva fare; prendere (gli) o. da qualcuno, anche nel sign. estens. di dipendere da lui. In frasi di cortesia o di devozione: i tuoi desiderî sono o. per me; sono ai vostri o., sono pronto a obbedirvi. Nell’esercito, la formale comunicazione (verbale o scritta) delle volontà e delle decisioni del comandante ai proprî sottoposti: ordini di operazioni, che concernono l’impiego delle truppe in operazioni belliche; ordini di marcia, che stabiliscono gli orarî, gli itinerarî, gli incolonnamenti e le formazioni di marcia per i trasferimenti; ordini per i servizî, che riguardano il funzionamento dei servizî; ordini di massima, per le disposizioni di carattere continuativo; foglio d’ordine o d’ordini (v. foglio, n. 2 h); parola d’o. (v. parola, n. 6 b). Sempre con riferimento alla vita militare (ma usate anche in senso estens.) le locuz. agli o., sotto gli o. di qualcuno, sotto il suo comando, alle sue dipendenze: servì (militò, combatté) sotto gli o. del generale La Marmora; la compagnia avanzava agli o. del capitano. b. In molti casi, la parola indica, più che un vero e proprio comando, una decisione presa o una disposizione impartita da un superiore, la comunicazione di una norma da seguire, una direttiva circa il modo di comportarsi, e talora può significare anche autorizzazione, istruzione, concessione, benestare, e sim.: non ho avuto ordini in proposito; dobbiamo attendere gli o.; ho dato o. all’usciere di farvi entrare appena arrivati; continuerete così fino a nuovo o., fino a che giungeranno nuove istruzioni, fino a nuovo avviso. D’ordine del ministro, locuz. che si premette alla firma (detta firma d’ordine) apposta a una lettera o a un documento da un funzionario autorizzato a sostituire in quella mansione il ministro. Nel processo penale provvedimento emanato dal pubblico ministero volto a dare esecuzione a una sentenza di condanna: o. di esecuzione, o. di carcerazione; anche, nel cod. proc. pen. del 1930, il corrispondente di mandato (v.) per gli atti diretti ad assicurare la comparizione dell’imputato emessi dal pubblico ministero: o. di cattura, o. di comparizione. c. Nel linguaggio contabile, bancario e giur., disposizione data dal titolare di un diritto, concernente un’operazione relativa al diritto stesso, e anche il documento in cui la disposizione è contenuta: o. di banca, di borsa, di cambio; o. di accreditamento (v. accreditamento, n. 2); o. di giro, lo stesso che giroconto; o. (o ordinativo) d’imbarco (v. imbarco, n. 1 b); o. di consegna (ingl. delivery order), nel contratto di trasporto di cose per via d’acqua, titolo rappresentativo di merce con il quale il vettore (o in suo luogo il raccomandatario), su disposizione del possessore della polizza di carico, ordina al comandante della nave o al raccomandatario di consegnare al possessore del titolo singole partite delle merci rappresentate dalla polizza stessa; o. in derrate, particolare tipo di cambiale (v. derrata, n. 2); o. di riscossione (v. riscossione, n. 1). All’ordine, clausola, espressa o sottintesa, che consente, mediante una serie continua di girate, la circolazione dei titoli di credito (titoli all’o.), il cui possessore è pertanto legittimato all’esercizio dei diritti menzionati nei titoli stessi. d. Nel linguaggio comm., il termine equivale talora a ordinativo, commissione di merce: attendiamo vostri o.; in merito all’o. da voi pervenutoci, abbiamo disposto ... e. estens. Impiegato d’ordine, nel rapporto d’impiego privato, quello che ha funzioni esecutive (contrapp. all’impiegato di concetto); nel rapporto d’impiego pubblico la locuz. non è più usata ed è stata sostituita da impiegato delle carriere esecutive. Per alunno d’o., v. alunno. In finanza, spese d’o., le spese dello stato derivanti dall’accertamento e dalla riscossione delle entrate (per es., aggio di riscossione agli esattori). f. In informatica, sinon. poco com. di istruzione, nel sign. 2 c. 10. Antica unità di misura di superficie usata a Roma prima dell’adozione del sistema metrico decimale, equivalente a m2 16,504. 11. Senza alcun rapporto diretto con i principali sign. del termine è la locuz. in ordine a, usata, spec. nel linguaggio burocr. e comm., invece di in merito a, rispetto a, per ciò che riguarda, e sim.: in o. alla richiesta da voi avanzata ...; in o. alla vostra ultima commissione ...; chiediamo spiegazioni in o. ai recenti fatti.