ordire
v. tr. [lat. ordiri «cominciare a tessere» e comunem. «cominciare, dare inizio a qualche cosa»] (io ordisco, tu ordisci, ecc.). – 1. a. Nella tessitura, distendere sul telaio, in senso longitudinale, i fili che costituiranno l’ordito: o. la tela. b. Frequente nel linguaggio letter. e poet. l’uso fig.: Tessiam, vecchia Germania, il lenzuol funebre Tuo, che di tre maledizion s’ordì (Carducci); soprattutto con allusione al fatto che l’ordito è solo uno dei due elementi che costituiscono la tela e che per formare questa occorre aggiungere la trama: Poi che, tacendo, si mostrò spedita L’anima santa di metter la trama In quella tela ch’io le porsi ordita (Dante), di rispondere alla mia domanda. Quindi, in genere, avviare, dare inizio a un’opera, ideando o disponendo gli elementi fondamentali per la sua realizzazione: o. un romanzo, un dramma; o addirittura compiere, eseguire: se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile (Parini). Comune invece col sign. di macchinare, cioè di preparare, tramare in segreto qualcosa di illecito: o. una congiura, un intrigo; o. inganni, insidie, tradimenti; anche usato assol.: ardisco non ordisco, motto di G. D’Annunzio. 2. Per estens., nell’uso ant., con riferimento ad altri lavori d’intreccio: o. ceste, panieri, canestri, corde; anche, formare l’ossatura lignea di una costruzione: o. di travi, di legname un edificio, una centina; e fabbricare, costruire in genere: confuso Ordin di loggie i demon fabri ordiro (T. Tasso). 3. In marina, o. un cavo, inferirlo, ossia disporlo nelle pulegge che devono guidarne l’azione.