palude
s. f. [lat. palus -ūdis]. – 1. Area, più o meno vasta, di terreno impermeabile o insufficientemente drenato, nella quale le acque piovane o i corsi d’acqua alimentano un bacino di raccolta, di solito poco profondo, spesso occupato da una flora particolare; tali aree si formano in vicinanza dei corsi d’acqua (per es., nei meandri abbandonati), nelle regioni endoreiche, lungo le coste basse per deposizione di cordoni litoranei (nel qual caso le acque sono salmastre), ecc.: prosciugare, bonificare una p.; caccia di palude (o di padule); gas delle p., il metano; febbre delle p., la malaria; al plur., per indicare un’intera regione paludosa: le p. pontine; le p. maremmane; per estens., la p. stigia, l’acqua del fiume infernale Stige; in Dante, la livida p., il fiume Acheronte, attraverso il quale Caronte traghetta i morti. Nell’uso ant. anche come s. m. (cfr. padule): Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco M’impigliar sì ch’i’ caddi (Dante). 2. fig., letter. Condizione di vita stagnante, o stato d’animo d’indifferenza, di neghittosità, d’inerzia spirituale e morale: perdette poco a poco contatto col mondo esterno, affondando per conto proprio in una p. nera ma non spiacevole (Montale).