parlamento
parlaménto s. m. [der. di parlare2]. – 1. ant. L’atto, il fatto di parlare, e quindi conversazione, discorso in genere: stare in p.; tener p.; vani, inutili p.; dopo breve, lungo p.; Lo Patre onnipotente ... Al so figliol fa dolce p. (Iacopone); in questo prato ... andiamo, e quivi con varii p. la calda parte di questo giorno passiamo (Boccaccio); venire a p., venire a colloquio, entrare in ragionamenti: egli vi trasporta ad un tratto tra quelle rovine, e vi evoca le ombre degli antichi romani con cui viene a p. (Tarchetti). Più in partic., abboccamento, convegno, anche su affari politici, tra rappresentanti di due stati, tra belligeranti, per concludere trattative, e sim.: Quel traditor che vede pur con l’uno ... Farà venirli a p. seco (Dante); disse ... che egli era stato a p. co’ protestanti e non gl’aveva trovati tanto differenti che non si potessero accommodare (Sarpi). 2. Pubblica adunanza: chiamare, convocare il popolo a p.; a parlamento Nel decimo [giorno] chiamò le turbe Achille (V. Monti); Le donne a p., traduzione frequente del titolo gr. ᾿Εκκλησιάζουσαι di una commedia di Aristofane; il popolo stesso riunito: Ed allora per tutto il parlamento Trascorse quasi un fremito di belve (Carducci). Più esattamente, assemblea che tratta di affari pubblici, politici e amministrativi. Con sign. specifico, nelle varie epoche storiche: a. Nel medioevo, assemblea dei baroni e del clero, e poi anche delle città, di un intero paese (p. generale) o di una provincia (p. provinciale) o anche semplicemente dei cittadini di un comune. b. Nell’età moderna, a cominciare dal sec. 15°, denominazione usata in Inghilterra (ingl. Parliament) per indicare insieme le camere dei Lord e dei Comuni e, in Francia (fr. Parlement), fino al 1790, alcune corti di giustizia, fra cui quella di Parigi, che aveva il diritto di registrare gli editti regi. c. Nei sec. 19° e 20° (per lo più con iniziale maiuscola), assemblea politica dello stato moderno, e precisamente l’organo collegiale di carattere rappresentativo-politico mediante il quale il popolo, attraverso i suoi rappresentanti eletti, partecipa all’esercizio del potere per la formazione delle leggi e il controllo politico del governo; è talora costituito da una sola camera o assemblea (P. unicamerale), generalm. eletta direttamente dal popolo, ma più spesso è articolato in due camere o assemblee (P. bicamerale), di cui una, la camera bassa (in Italia, la Camera dei deputati), eletta direttamente dal popolo in ragione di un membro per un determinato numero di abitanti, e l’altra, la camera alta (in Italia, il Senato), costituita da membri scelti invece con criterî assai diversi nei varî stati: il P. italiano, francese, inglese; i due rami del P. italiano; convocare, chiudere, riaprire, sciogliere, rinnovare il P.; elezioni per il nuovo P.; riunione, seduta del P.; le deliberazioni del P.; aspirare, essere eletto al P.; sedere in P., farne parte. 3. In diritto internazionale, P. europeo, denominazione dell’assemblea dei rappresentanti degli stati dell’Unione Europea, i cui membri sono eletti a suffragio universale diretto; dotato dapprima di funzioni prevalentemente consultive, ha progressivamente esteso i proprî poteri e le proprie competenze in materia di bilancio, di adozione di atti normativi e di controllo sull’attività delle altre istituzioni. 4. Per estens. (per lo più con iniziale maiuscola), l’insieme dei membri che costituiscono il Parlamento: il P. ha votato la fiducia al governo; anche, l’edificio in cui ha sede il Parlamento: andare al Parlamento. ◆ Dim. parlamentino, anche con sign. particolare (v. la voce).