parlare. Finestra di approfondimento
Volume e tipi di voce - P. è il verbo più generico per indicare l’atto dell’emettere parole. I vari sinon. sono tutti più specifici, circoscritti ora al volume della voce, oppure alle modalità di presa della parola e di svolgimento del discorso, o all’intento del parlare e altro ancora. Se si parla a voce molto bassa, i verbi più appropriati sono bisbigliare, mormorare o sussurrare: sentii chiuder gli usci e tornar bisbigliando i sagrestani (I. Nievo); se continui a sussurrare così non potrò mai sentirti. Talora il parlare a voce bassa ha come scopo quello di non farsi sentire dagli altri, perché si sta dicendo qualcosa di male, di segreto e sim. In questi casi il sinon. più adatto è parlottare, oppure, accentuando ulteriormente l’idea della segreta complicità, confabulare: cosa avete da parlottare, voi due?; confabulano un pezzo, con quelle loro lingue torpide (L. Pirandello). Mormorare può essere usato anche nell’accezione di «parlare male di qualcuno»: hanno ragione, se mormorano di mia moglie (C. Goldoni). Ancora più spreg. sono malignare, pettegolare e spettegolare, che presuppongono la segretezza ma non il parlare sottovoce: li ho sentiti malignare per ore su di me. Parlottare, vuol dire anche «parlare a mala pena una lingua»: quando era viva la padrona parlottava un po’ il veneziano (I. Nievo). Bofonchiare sottolinea, in aggiunta all’idea di parlare a bassa voce, anche quella di parlare tra i denti, di non far capire bene ciò che si ha da dire; chi bofonchia esprime per lo più a una lamentela, una recriminazione, un rimprovero che, tuttavia, non vuole proferire apertamente: il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi (C. Collodi). Analoghi, ancorché meno espressivi e intens., sono borbottare e brontolare: se n’andò brontolando, e chiuse la porta con uno strepito da arrabbiato (S. Pellico).
Gridare o urlare - Si usano, invece, se si parla a voce molto alta, di solito a causa dell’ira: dove bisognerebbe urlare, risponderò posatamente (G. Leopardi). Sbraitare è intens., indicando un urlare particolarmente rabbioso: lasci sbraitare questi signori (C. Boito). Chi parla con voce alta e solenne, in modo talora eccessivamente enfatico, declama o recita: impetuoso nel declamare contro la disonestà, e in favor della virtù (A. Genovesi). Se chi parla tende a soffermarsi eccessivamente su certe sillabe, talora ripetendole o distorcendole, vuoi per traumi fisici o psichici, vuoi per nervosismo, si userà il verbo balbettare: il giovinotto si confonde, balbetta (R. Zena). Se si parla troppo velocemente o scandendo male i suoni, si dirà invece farfugliare o, fam., mangiarsi le parole: farfugliando, tentò di farci capire il suo punto di vista; parla più lentamente, senza mangiarti le parole.
Modi di parlare - Un parlare del più e del meno, senza scopi particolari, sarà detto chiacchierare: le faccende mi hanno tenuta occupata in modo, che non mi avanzava tempo da chiacchierare (G. Leopardi). Chiacchierare può avere anche un’accezione spreg., nel senso di «dire qualcosa a sproposito, o qualcosa che sarebbe più opportuno tacere» (non fidarti di lui, perché è uno che chiacchiera), con i sinon. blaterare, cianciare, p. a vanvera e i meno com. ciangottare, ciarlare, cicalare e sproloquiare: niente di vero, in quanto blateri (V. Imbriani).
Conversare - Si usa di solito per un parlare per lo più piacevole, senza scopi particolari, similmente a chiacchierare, ma senza alcuna connotazione spreg.: la sera ci piaceva sederci al fresco a conversare. Leggermente più formali sono discorrere, colloquiare e dialogare (quest’ultimo impiegato preferibilmente, ma non necessariamente, per conversazioni a due sole voci): io fo queste riflessioni così per discorrere, e per filosofare un poco, o forse sofisticare (G. Leopardi). Se invece si parla in modo meno rilassato, di argomenti più impegnativi o con un interesse particolare a quanto si sta dicendo, si possono usare ragionare e discutere: andava ragionando di varie questioni economiche. Il secondo verbo è adatto anche per un parlare più animato, sinon. dunque di litigare: i due coniugi discutevano sempre. Tutti i verbi citati da ultimo (con la parziale eccezione di discorrere, ragionare e discutere), a differenza dei precedenti, si usano soltanto per un parlare a più voci (da soli talora si può chiacchierare, ma non conversare, dialogare, ecc.). «Fare un intervento verbale in una riunione, in una disputa e sim.» si dice intervenire o prendere la parola, oppure, più formalmente, interloquire: qualcuno di voi vuole intervenire su quello che ci è stato appena narrato? Per discorsi dotti, per lo più su argomenti scientifici, si possono usare i verbi formali dissertare o il meno com. e più intens. discettare: lascio che i vostri parolai dissertino ampollosamente in più pagine (U. Foscolo); in sì fatti parlamenti dovettero discettarsi cause feudali d’intorno o diritti o successioni o devoluzioni de’ feudi per cagione di fellonia o di caducazione (G. B. Vico). In determinati contesti molto formali, o iron., p. può essere sostituito da conferire, usato soprattutto per colloqui tra politici, diplomatici e sim: il conte, l’ingegnere, l’avvocatino e la Giunta si strinsero a conferire insieme (A. Fogazzaro).
Opere che parlano - P. è anche usato, nell’uso fam., nel senso di «avere come argomento, come trama» e ha pertanto, come sogg., un libro, un film e sim.: di che parlava il film che hai visto ieri? Sinon. più formali sono narrare e trattare, che, a differenza di p., possono essere anche trans.: il racconto narra le avventure (o delle avventure) di un orfano in giro per il mondo in cerca di fortuna. Anche raccontare (quasi sempre trans.) può essere impiegato in quasi tutti i contesti, ma raram. nelle interrogative: di che parlava l’aneddoto? – l’aneddoto raccontava le disavventure (o, più raram., delle disavventure) di suo padre.
Parola - Parola è il sost. più generico per intendere il prodotto del parlare o dello scrivere. In determinate situazioni si preferiscono sost. più specifici. Termine o vocabolo designano per lo più parole legate a determinati lessici o comunque le parole considerate nell’ambito di un determinato contesto: termine tecnico, letterario; vocabolo, vocabolo improprio. G. Leopardi distingueva, com’è noto, tra parole e termini, attribuendo ai secondi maggior precisione e quindi minor appropriatezza per il linguaggio poetico, che invece preferisce parole più vaghe, dal senso sfumato: le parole [...] non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più quando meno immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. Quanto più una lingua abbonda di parole, tanto più è adatta alla letteratura e alla bellezza. D’ambito linguistico è lemma, sost. che designa propriam. la parola, per lo più in neretto, messa all’inizio di una voce di un vocabolario: mettere una parola a lemma. È detta anche articolo, entrata, esponente o più spesso voce. Si può parlare di lemmi anche indipendentemente dai vocabolari, intendendo la parola ricondotta alla sua forma-tipo, così come sarebbe se fosse voce di un vocabolario: vai, andiamo e vanno sono tre forme dell’unico lemma andare.