parlare² [lat. mediev. parabolare, ✻paraulare, der. di parabola]. - ■ v. intr. (aus. avere) 1. a. [avere o aver sviluppato la facoltà del linguaggio: il bambino comincia già a p.; gli animali non parlano] ≈ (lett.) favellare, Ⓣ (ling.) verbalizzare. ↔ ‖ scrivere. b. [dire delle cose, più sotto il profilo dell'emissione della voce che dell'espressione del pensiero: parlavano tutti insieme; p. durante la lezione] ≈ ↓ chiacchierare, parlottare. ↔ tacere. 2. [con riferimento al modo con cui si manda fuori la voce, emettere suoni verbali: p. a stento; p. scandendo le sillabe; p. a voce alta, a voce bassa] ≈ [con uso assol.] (lett.) proferire. ● Espressioni: fig., parlare fra i denti; fig., parlare fuori dai (o dei) denti → □; parlare sottovoce ≈ bisbigliare, mormorare, parlottare, sussurrare. 3. [dare espressione a pensieri e sentimenti, anche in contrapp. all'effettivo contenuto delle parole stesse: il bambino dice già qualche parola, ma ancora non parla; parla, ti ascolto; parla, parla, ma non dice nulla] ≈ ‖ dire, esprimere, proferire. ● Espressioni: spreg., parlare a vanvera ≈ (spreg.) blaterare, (spreg.) delirare, (spreg.) farneticare, (spreg.) sproloquiare, (spreg.) straparlare, vaneggiare; fig., parlare fra sé (e sé) [formulare silenziosamente il proprio pensiero, seguendo un discorso interno] ≈ riflettere. ↑ rimuginare. 4. a. [comunicare qualcosa che deve essere tenuto segreto, anche assol.: mi è stato ordinato di non p.; sai che io non parlo dei segreti altrui] ≈ riferire (ø), (fam.) spifferare (ø). b. (estens.) [assol., nel gergo della malavita, fare la spia: qualcuno deve aver parlato] ≈ (gerg.) cantare, confessare, soffiare. c. [assol., fare una proposta, pronunciarsi su qualche cosa: non sta a me p.; io ho fatto la mia offerta, ora parli lei] ≈ dire (la sua), esprimersi. 5. a. [esprimersi, con riferimento alla forma, ai modi del discorso e dell'espressione: sto parlando sul serio!] ≈ dire. b. [usare l'arte verbale, con riferimento alla correttezza, alla proprietà e ad altre qualità del dire, anche assol.: parla molto bene; non sa p.; p. con garbo, con eleganza, in modo forbito] ≈ esprimersi. ● Espressioni: fig., parlare chiaro ≈ chiamare le cose con il loro nome, dire pane al pane (e vino al vino), (fam.) non avere peli sulla lingua, (fam.) non guardare in faccia a nessuno. 6. a. [intrattenere una conversazione con qualcuno: parlavano fra loro] ≈ chiacchierare, colloquiare, conversare, discorrere, discutere, ragionare. b. [avere un colloquio, con la prep. con: vorrei p. col direttore] ≈ conferire. c. [indirizzare la parola o il discorso a qualcuno, con la prep. a: parlavi a me?; ehi, parlo a voi!] ≈ (fam.) avercela (con), dire, rivolgersi. 7. a. [occuparsi di un argomento, con la prep. di (che introduce l'argomento del discorso o della conversazione): p. di letteratura, d'arte, di sport, di cinema] ≈ discutere, trattare. b. [assol., esprimere giudizi e commenti, per lo più negativi: la gente parla] ≈ ciarlare, malignare, mormorare, pettegolare, spettegolare. ● Espressioni: parlare bene (di qualcuno) → □; parlare del più e del meno ≈ chiacchierare; parlare male (di qualcuno) → □. c. [manifestare un'intenzione, ventilare una decisione e sim.: parla spesso di volersi ritirare] ≈ dire. d. [avere come riferimento qualcuno o qualcosa, per lo più implicitamente, con la prep. di: si capiva che stava parlando di te; io parlavo di tutt'altro!] ≈ alludere (a), riferirsi (a). 8. [tenere un discorso pubblico o solenne, una lezione, una conferenza e sim.: p. in un'assemblea; p. alla televisione] ≈ ‖ intervenire. ● Espressioni: parlare a braccio ≈ improvvisare. 9. (estens.) [comunicare i pensieri, o discorrere, ragionare per iscritto (sia nella corrispondenza sia in libri, in giornali, ecc.), con la prep. di: ti scrivo per parlarti di una questione; i giornali ne hanno già parlato] ≈ discutere, esaminare (ø), trattare (ø). 10. (fig.) [utilizzare modi di comunicazione diversi dal linguaggio verbale: p. con le mani, con i (o a) gesti] ≈ comunicare, esprimersi. ■ v. tr. 1. [seguito da un compl. dell'oggetto interno, usare un determinato modo di comunicare: p. un linguaggio franco, schietto, chiaro, oscuro] ≈ esprimersi (in). 2. a. [usare una determinata lingua: parlavamo tutti l'inglese] ≈ esprimersi (in). b. [saper usare una lingua: p. una lingua, quattro lingue; p. bene il (o in) tedesco] ≈ conoscere. ■ parlarsi v. recipr. 1. [tenere rapporti di conversazione, detto di due persone: si parlano volentieri] ≈ chiacchierare, conversare, discutere 2. (estens.) [avere rapporti, essere in buoni rapporti: non si parlano più da anni] ≈ guardarsi in faccia. ‖ frequentarsi, sentirsi, vedersi. □ parlare bene (di qualcuno) [rilevare e sottolineare i pregi di qualcuno] ≈ dire (un gran) bene, elogiare (ø), lodare (ø). ↑ dire meraviglie, tessere le lodi. ↔ parlare male. ↑ (fam.) dire peste e corna. □ parlare fra i denti ≈ bofonchiare, borbottare, farfugliare, mormorare. □ parlare fuori dai (o dei) denti [esprimere francamente il proprio pensiero] ≈ dirla tutta, parlare chiaro. □ parlare male (di qualcuno) [rilevare e sottolineare i difetti di qualcuno, anche solo per malignità] ≈ biasimare (ø), criticare (ø), malignare (su), mettere in cattiva luce (ø), sparlare. ↑ (fam.) denigrare (ø), (fam.) dire peste e corna. ↔ encomiare (ø), parlare bene. ↑ dire meraviglie, tessere le lodi.
parlare. Finestra di approfondimento
Volume e tipi di voce - P. è il verbo più generico per indicare l’atto dell’emettere parole. I vari sinon. sono tutti più specifici, circoscritti ora al volume della voce, oppure alle modalità di presa della parola e di svolgimento del discorso, o all’intento del parlare e altro ancora. Se si parla a voce molto bassa, i verbi più appropriati sono bisbigliare, mormorare o sussurrare: sentii chiuder gli usci e tornar bisbigliando i sagrestani (I. Nievo); se continui a sussurrare così non potrò mai sentirti. Talora il parlare a voce bassa ha come scopo quello di non farsi sentire dagli altri, perché si sta dicendo qualcosa di male, di segreto e sim. In questi casi il sinon. più adatto è parlottare, oppure, accentuando ulteriormente l’idea della segreta complicità, confabulare: cosa avete da parlottare, voi due?; confabulano un pezzo, con quelle loro lingue torpide (L. Pirandello). Mormorare può essere usato anche nell’accezione di «parlare male di qualcuno»: hanno ragione, se mormorano di mia moglie (C. Goldoni). Ancora più spreg. sono malignare, pettegolare e spettegolare, che presuppongono la segretezza ma non il parlare sottovoce: li ho sentiti malignare per ore su di me. Parlottare, vuol dire anche «parlare a mala pena una lingua»: quando era viva la padrona parlottava un po’ il veneziano (I. Nievo). Bofonchiare sottolinea, in aggiunta all’idea di parlare a bassa voce, anche quella di parlare tra i denti, di non far capire bene ciò che si ha da dire; chi bofonchia esprime per lo più a una lamentela, una recriminazione, un rimprovero che, tuttavia, non vuole proferire apertamente: il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi (C. Collodi). Analoghi, ancorché meno espressivi e intens., sono borbottare e brontolare: se n’andò brontolando, e chiuse la porta con uno strepito da arrabbiato (S. Pellico).
Gridare o urlare - Si usano, invece, se si parla a voce molto alta, di solito a causa dell’ira: dove bisognerebbe urlare, risponderò posatamente (G. Leopardi). Sbraitare è intens., indicando un urlare particolarmente rabbioso: lasci sbraitare questi signori (C. Boito). Chi parla con voce alta e solenne, in modo talora eccessivamente enfatico, declama o recita: impetuoso nel declamare contro la disonestà, e in favor della virtù (A. Genovesi). Se chi parla tende a soffermarsi eccessivamente su certe sillabe, talora ripetendole o distorcendole, vuoi per traumi fisici o psichici, vuoi per nervosismo, si userà il verbo balbettare: il giovinotto si confonde, balbetta (R. Zena). Se si parla troppo velocemente o scandendo male i suoni, si dirà invece farfugliare o, fam., mangiarsi le parole: farfugliando, tentò di farci capire il suo punto di vista; parla più lentamente, senza mangiarti le parole.
Modi di parlare - Un parlare del più e del meno, senza scopi particolari, sarà detto chiacchierare: le faccende mi hanno tenuta occupata in modo, che non mi avanzava tempo da chiacchierare (G. Leopardi). Chiacchierare può avere anche un’accezione spreg., nel senso di «dire qualcosa a sproposito, o qualcosa che sarebbe più opportuno tacere» (non fidarti di lui, perché è uno che chiacchiera), con i sinon. blaterare, cianciare, p. a vanvera e i meno com. ciangottare, ciarlare, cicalare e sproloquiare: niente di vero, in quanto blateri (V. Imbriani).
Conversare - Si usa di solito per un parlare per lo più piacevole, senza scopi particolari, similmente a chiacchierare, ma senza alcuna connotazione spreg.: la sera ci piaceva sederci al fresco a conversare. Leggermente più formali sono discorrere, colloquiare e dialogare (quest’ultimo impiegato preferibilmente, ma non necessariamente, per conversazioni a due sole voci): io fo queste riflessioni così per discorrere, e per filosofare un poco, o forse sofisticare (G. Leopardi). Se invece si parla in modo meno rilassato, di argomenti più impegnativi o con un interesse particolare a quanto si sta dicendo, si possono usare ragionare e discutere: andava ragionando di varie questioni economiche. Il secondo verbo è adatto anche per un parlare più animato, sinon. dunque di litigare: i due coniugi discutevano sempre. Tutti i verbi citati da ultimo (con la parziale eccezione di discorrere, ragionare e discutere), a differenza dei precedenti, si usano soltanto per un parlare a più voci (da soli talora si può chiacchierare, ma non conversare, dialogare, ecc.). «Fare un intervento verbale in una riunione, in una disputa e sim.» si dice intervenire o prendere la parola, oppure, più formalmente, interloquire: qualcuno di voi vuole intervenire su quello che ci è stato appena narrato? Per discorsi dotti, per lo più su argomenti scientifici, si possono usare i verbi formali dissertare o il meno com. e più intens. discettare: lascio che i vostri parolai dissertino ampollosamente in più pagine (U. Foscolo); in sì fatti parlamenti dovettero discettarsi cause feudali d’intorno o diritti o successioni o devoluzioni de’ feudi per cagione di fellonia o di caducazione (G. B. Vico). In determinati contesti molto formali, o iron., p. può essere sostituito da conferire, usato soprattutto per colloqui tra politici, diplomatici e sim: il conte, l’ingegnere, l’avvocatino e la Giunta si strinsero a conferire insieme (A. Fogazzaro).
Opere che parlano - P. è anche usato, nell’uso fam., nel senso di «avere come argomento, come trama» e ha pertanto, come sogg., un libro, un film e sim.: di che parlava il film che hai visto ieri? Sinon. più formali sono narrare e trattare, che, a differenza di p., possono essere anche trans.: il racconto narra le avventure (o delle avventure) di un orfano in giro per il mondo in cerca di fortuna. Anche raccontare (quasi sempre trans.) può essere impiegato in quasi tutti i contesti, ma raram. nelle interrogative: di che parlava l’aneddoto? – l’aneddoto raccontava le disavventure (o, più raram., delle disavventure) di suo padre.
Parola - Parola è il sost. più generico per intendere il prodotto del parlare o dello scrivere. In determinate situazioni si preferiscono sost. più specifici. Termine o vocabolo designano per lo più parole legate a determinati lessici o comunque le parole considerate nell’ambito di un determinato contesto: termine tecnico, letterario; vocabolo, vocabolo improprio. G. Leopardi distingueva, com’è noto, tra parole e termini, attribuendo ai secondi maggior precisione e quindi minor appropriatezza per il linguaggio poetico, che invece preferisce parole più vaghe, dal senso sfumato: le parole [...] non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più quando meno immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. Quanto più una lingua abbonda di parole, tanto più è adatta alla letteratura e alla bellezza. D’ambito linguistico è lemma, sost. che designa propriam. la parola, per lo più in neretto, messa all’inizio di una voce di un vocabolario: mettere una parola a lemma. È detta anche articolo, entrata, esponente o più spesso voce. Si può parlare di lemmi anche indipendentemente dai vocabolari, intendendo la parola ricondotta alla sua forma-tipo, così come sarebbe se fosse voce di un vocabolario: vai, andiamo e vanno sono tre forme dell’unico lemma andare.