parodia
parodìa s. f. [dal gr. παρῳδία, comp. di παρα- per indicare somiglianza e ᾠδή «canto»; cfr. lat. tardo parodĭa]. – 1. a. Travestimento burlesco di un’opera d’arte, a scopo satirico, umoristico o anche critico, consistente, nel caso di opere di poesia (meno spesso di prosa), nel contraffare i versi conservandone la cadenza, le rime, il tessuto sintattico e alcune parole e, nel caso di opere musicali, nel sostituire le parole del testo originario, conservando intatto o con leggere variazioni il motivo: fare la p. di un verso, di un sonetto, di un dramma, di una canzone, di una romanza; mettere in p. un poema, un autore, un poeta. b. Con accezione più generica, imitazione deliberata, con intento più o meno caricaturale, dello stile caratteristico di uno scrittore, di un musicista, di un regista e sim., realizzata inserendo nella nuova composizione passi che ne rievochino con immediatezza la maniera; anche, imitazione caricaturale di noti personaggi del mondo dello spettacolo, della politica, dello sport, ecc., del loro modo di parlare, di gesticolare e sim., fatta per suscitare ilarità, molto frequente nel teatro comico e negli spettacoli di varietà. 2. fig. Istituzione, ente, azione o persona che costituisce una imitazione lontana di ciò che dovrebbe realmente essere, che manca di serietà e risulta quasi una caricatura: una p. di governo, di giustizia sociale; lo condannarono dopo una p. di processo; una p. di riconciliazione; il nostro è solo una p. di direttore. 3. Con il sign. più generico di imitazione (senza carattere burlesco), messa parodia, tipo di messa, particolarmente diffuso nel sec. 16°, che utilizza come canto fermo, o introduce nella sua musica in maniera più elaborata, un mottetto conosciuto, assumendone anche il nome (per es., la messa di Palestrina Assumpta est Maria è una parodia del suo omonimo mottetto).