partito-rete
loc. s.le m. Partito politico caratterizzato da una struttura non verticistica e dall’apporto proveniente dalla sua organizzazione periferica. ◆ [Franco] Passuello, che viene dalle Acli, spiega che la salvezza sarà in un partito-rete, «agli antipodi del partito-piramide, un corpo politico dove attecchisca la democrazia federativa di mandato». La ragnatela. In aula prendono appunti, [Walter] Veltroni in testa. (Concita De Gregorio, Repubblica, 9 luglio 1999, p. 7, Politica) • Perché poi non sia «politicamente maturo» il partito riformista, o democratico che dir si voglia, il gruppo dirigente della Margherita lo spiega senza troppi giri di parole: noi siamo un partito-movimento, un partito-rete, un partito che ancora si sta formando – dicono –, mentre i Ds sono il vecchio Pci: con i suoi apparati, la sua robustezza, la sua disciplina e, anche, il suo gruppo dirigente. Ergo, sostengono i dirigenti della Margherita, parlare di «partito riformista» oggi significa parlare di annessione ai Ds. (Fabrizio Rondolino, Stampa, 19 aprile 2005, p. 11, Interno) • Un piano messo a punto anche dal vicecoordinatore [di Forza Italia], Renato Brunetta, ha fissato la road map per la costituzione del cosiddetto «partito-rete». […] La decisione di costituire un partito-rete è dettata sia da ragioni di stretta natura politica (le resistenze all’interno del partito […]), sia per questioni logistiche, visto che – come ha spiegato [Silvio] Berlusconi – «ci sono partiti che hanno crediti e debiti e aspettano finanziamenti pubblici». (Cristiano Leoni, Gazzetta del Sud, 29 novembre 2007, p. 4, Interni).
Composto dal s. m. partito e dal s. f. rete.