pascolo
pàscolo s. m. [lat. pascuum, der. di pascĕre «pascere, pascolare»]. – 1. a. Terreno coperto di erbe spontanee, che non vengono falciate ma sono direttamente pascolate dal bestiame: p. permanente, quello in cui viene fatto pascolare bestiame stazionario per gran parte dell’anno; p. temporaneo, nelle zone a colture discontinue, il terreno utilizzato come pascolo negli intervalli in cui viene lasciato a riposo dalle colture di cereali; p. ricco, povero, magro, grasso; zona ricca di fertili p.; i verdi p. dell’Engadina; mettere, tenere, lasciare un terreno a pascolo. b. L’erba stessa che copre il terreno: quest’anno il p. è stato abbondante, o scarso; il trifoglio è un buon pascolo. 2. In senso astratto, il fatto di pascolare: portare le greggi al p.; le mucche sono al pascolo. Nel linguaggio giur., diritto di pascolo, diritto di godimento che rientra nella categoria dei cosiddetti usi civici, largamente diffuso nel medioevo, quando molte erano le terre incolte di proprietà dello stato, dei principi, delle chiese, e più tardi dei comuni, su cui gli abitanti del territorio avevano facoltà di mandare a pascolare il loro gregge, col pagamento di un censo annuo; p. abusivo, reato che si concreta nell’introduzione o abbandono di animali, anche non raccolti in gregge o in mandria, nel fondo altrui (adatto al pascolo), per farveli pascolare. 3. fig. Alimento, nutrimento (negli usi fig. di questi termini): letture che sono un buon p. per la mente; dare p. all’ambizione, ai sospetti; i ricchi vogliono, nel tempo stesso che danno pascolo al ventre, dar pascolo all’ambizione (Segneri); egli aveva cercato nella donna il p. della immaginazione artistica (Serao). Con altri sign.: dare in p. al pubblico, ai curiosi, alla maldicenza, e sim., lo stesso che dare in pasto (v. pasto2, n. 3); è un’amministrazione disordinata in cui persone di pochi scrupoli trovano abbondante p., dove cioè trovano modo di trarre ricchi profitti, più o meno illeciti.