pensiero
pensièro (ant. pensière, pensièri, e pensèro, pensère, pensèri) s. m. [dal provenz. pensier, der. del lat. pensare «pensare»]. – 1. a. La facoltà del pensare, cioè l’attività psichica mediante la quale l’uomo acquista coscienza di sé e della realtà che considera come esterna a sé stesso; proprio dell’uomo, lo differenzia dagli altri esseri viventi permettendogli di cogliere valori universali, di costruire nuovi modelli che trascendono i limiti spazio-temporali della percezione sensibile, di formarsi una coscienza di quello che esperimenta nella sua interiorità e nella realtà esterna: lo pensiero è proprio atto de la ragione, perché le bestie non pensano, che non l’hanno (Dante); veloce, rapido come il p.; volare sulle ali del p., sognare (da sveglio), fantasticare. Talvolta ha sign. e usi analoghi a mente: riandare col p. a qualcosa; volgere, rivolgere il p. a qualcuno; fermare il p. su qualcosa; leggere nel p. di qualcuno; o a intenzione, immaginazione e sim., in contrapp. alla realtà materiale: non l’ho tradita nemmeno col p.; lo rivedo col pensiero. b. In psicologia, il termine indica tutta una serie di processi cognitivi e di attività psichiche superiori, spesso non facilmente definibili a livello descrittivo; in partic., si distinguono un p. razionale, caratterizzato dall’impiego di procedimenti di tipo deduttivo-induttivo, un p. intuitivo, che dovrebbe procedere in maniera non sequenziale, ma piuttosto attraverso la riorganizzazione del campo problematico, un p. creativo, tendente a escogitare nuove forme, nuove soluzioni, metodi nuovi, ecc. In psicopatologia, disturbi del p., situazioni osservabili nelle malattie mentali, che possono interessare sia la strutturazione formale del pensiero, sia il suo contenuto (sono tali le varie forme di delirio, le ossessioni e sim.). 2. a. L’attività speculativa, teoretica, spec. contrapposta all’azione: il p. e l’azione; una condizione politica in cui manca (o che nega, che combatte) la libertà di pensiero (la libertà di manifestazione del p. è uno dei diritti fondamentali dell’uomo, garantito solennemente dalla Costituzione italiana); un uomo di pensiero, un pensatore; un libro denso, ricco di pensiero; un articolo povero di pensiero, senza vigore di pensiero. b. Con sign. più concr., l’attività speculativa (teoria, dottrina) propria di una determinata età o di un movimento d’idee (si parla quindi di una corrente, di un orientamento, o di un indirizzo di pensiero), oppure di un singolo pensatore, in quanto ha trovato una sua formulazione e può essere oggetto di studio, presentando una sua organicità e un suo sviluppo storico: il p. degli antichi Greci; il p. filosofico di Platone; il p. del Vico; il p. politico di Mazzini; il p. degli illuministi, dei fisiocratici; la teoria dell’accumulazione capitalistica nel p. di Marx; e con senso più generico: il p. di un partito su determinati problemi; il p. della Chiesa in merito al divorzio. Di coniazione recente la locuz. p. debole, con cui si è definita una tendenza della filosofia contemporanea che, a partire dalla crisi dei sistemi filosofici e ideologici tradizionali e dalla loro inadeguatezza rispetto alla complessità del reale, fatte discendere dalla pretesa di attingere la verità assoluta mediante giudizî universali (e in quanto tali «forti»), propone un’interpretazione della realtà programmaticamente provvisoria e aperta ad una continua rielaborazione critica. 3. a. Ciascuno degli atti del pensare, ciascuna delle rappresentazioni che nascono nella mente dell’uomo e attraverso la quale egli acquista conoscenza di fatti che avvengono intorno a lui, ma anche di moti del suo animo, della sua volontà, e sim., con sign. simile a quello di idea (in questo senso si usa anche il plur.): Ché sempre l’omo in cui pensier rampolla Sovra pensier, da sé dilunga il segno (Dante); Di pensier in pensier, di monte in monte Mi guida Amor (Petrarca); rivolgendo in sé quel che far deggia, In gran tempesta di pensieri ondeggia (T. Tasso); era tutto assorto nei suoi p.; cercai di raccogliere, di riordinare i miei p.; è un amico che conosce i miei p. più segreti; non riesce ad allontanare da sé quel p.; lo atterrisce il p. della morte; è spaventato dal p. del futuro. b. Con partic. valore affettivo, rappresentazione mentale improntata di desiderio, nostalgia, ricordo e sim.: il mio p. corre sempre a te; sei in cima ai miei p.; rivolgiamo un p. alla memoria di nostro padre; Salve, Zacinto! all’antenoree prode ... darò i carmi e l’ossa E a te il pensier (Foscolo). c. Cura, attenzione affettuosa, prova di affetto e gentilezza: avere un p., dei p., per qualcuno; è sempre pieno di pensieri per tutti; non ha mai un p. per sua madre; con sign. più concr., con riferimento al fatto, all’oggetto e sim., in cui tale cura si estrinseca: è stato un p. gentile venire a trovarmi; ti ho portato un piccolo p.; voglia gradire questo modesto p.; grazie del p.; è solo un p., nell’offrire un regalo di modesto valore intrinseco, ma significativo come manifestazione di affetto, di gratitudine, e sim. d. Stato di ansia, di agitazione, di preoccupazione: essere, stare in pensiero per qualcuno (quando arrivi telefonami, altrimenti sto in p.); con sign. attenuato, darsi, prendersi, p. di (o per) qualcosa, preoccuparsene: non si dia p. per il pagamento, ci metteremo d’accordo; quanto alla cattura ... non è cosa da prendersene gran pensiero (Manzoni). Con valore meno astratto, briga, affanno, cosa o situazione che è motivo di preoccupazione: non può vivere tranquillo, ha troppi p.; ho altri p. per la testa; il figlio gli dà molti p.; beato te che non hai un p. al mondo; vivere senza pensieri, spensieratamente. e. Proposito, progetto: aveva in mente di andare in montagna, ma poi ha cambiato p.; il mio primo p. è stato di ricorrere a voi; avevo un mezzo p. di venirti a trovare dopo cena. f. Opinione, parere: vorrei conoscere il tuo p. sull’argomento; esprimere il proprio pensiero. 4. a. Pura rappresentazione mentale, considerata distinta dai mezzi (parole, segni, gesti, ecc.) o dalle forme in cui viene espressa (e talora anche a questi contrapposta): l’autore ha reso efficacemente il suo p.; tradurre il p. in parole, in suoni; è un p. interessante, che merita di essere sviluppato; intendere, penetrare il p. di un artista, l’idea che soggiace alle sue creazioni; tradire il proprio p., svelarlo involontariamente (con altro senso, le parole hanno tradito il mio p., l’hanno fatto apparire diverso da quello che realmente è); tradire il p. dell’autore, di chi, commentando o traducendo un’opera, ne dà un’interpretazione diversa da quella che era nelle intenzioni dell’autore. b. Con sign. concr., frase o insieme di frasi con le quali si esprime concretamente un contenuto mentale: mi ha scritto un p. sull’album; meditazione, riflessione, anche al plur., come titolo di opere letterarie: pensieri sulla storia, sull’educazione; i p. di Leopardi, di Pascal; i «Pensieri e discorsi» del Pascoli. 5. Viola del pensiero, v. viola1, nel sign. 1 a. ◆ Dim. pensierino (v.); spreg. pensierùccio; accr. pensieróne; pegg. pensieràccio.