perche
perché avv. e cong. [comp. di per e che1 o che2]. – Grammaticalmente, oltre alle funzioni di avverbio interrogativo e di congiunzione, che sono le più frequenti, può avere quella di pronome relativo in alcuni usi ant. nei quali corrisponde a un per cui (per il quale, per la quale). Sotto l’aspetto semantico, esprime per lo più rapporti causali o finali; nell’uso ant. ebbe anche valore concessivo. 1. Come avv., in proposizioni interrogative dirette o indirette, serve a chiedere la causa, il motivo per cui si verifica o non si verifica un dato fatto, o anche lo scopo per cui si fa o non si fa qualche cosa, non essendo sempre evidente la distinzione tra il sign. causale e il finale. a. In interrogazioni dirette: p. ti sei comportato così male?; p. non siete venuti alla festa?; p. corri?; p. ti sei messo il cappello? Talvolta seguito da un infinito: p. tormentarsi inutilmente?; p. telefonargli?, non è meglio scrivergli?; p. salire a piedi quando c’è l’ascensore? Si usa anche ellitticamente quando l’intera domanda è implicita in ciò che è detto prima: «Oggi non ho intenzione di uscire di casa» «Perché?»; non hai risposto alla mia domanda: perché? Talvolta viene fatto precedere dalla cong. e o da un o o da un ma, per dare all’interrogazione un tono di maggiore vivacità: e perché ...?; o perché ...?; ma perché ...?; opp. è rafforzato con mai, quasi a indicare stupore o esprimere comunque reazione o opposizione a quanto altri ha detto o fatto: p. mai sei venuto così tardi?; p. mai dovrei offendermi?; in altri casi è seguito dalla negazione non, spec. quando la domanda vuol essere un invito a fare qualche cosa: P. non scendi? p. non ristai? (Carducci); p. non ti fermi a cena con noi? b. In interrogazioni indirette: vorrei sapere p. hai abbandonato il tuo posto; rafforzato con mai: non capisco p. mai agisce in questo modo; spiegami p. mai te ne sei andato; talvolta con il verbo al cong.: mi chiedo p. tu sia stato zitto. Anche usato ellitticamente: sembrava preoccupato, ma non ci disse p.; si sentiva a disagio senza sapere p.; accettò la punizione, senza chiedersi perché (cfr., al n. 7, l’uso sostantivato con articolo). 2. a. Come congiunzione con valore causale, per introdurre una proposizione secondaria (con il verbo all’indicativo): sono in collera con te, p. non hai risposto alla mia lettera; ho con me l’ombrello, p. quando sono uscito di casa il tempo era minaccioso; spesso in risposta a una domanda: «Perché sei così in ritardo?» «Perché sono stato trattenuto in ufficio». P. sì, p. no, forme, poco garbate, a volte usate nelle risposte, o piuttosto per eludere una risposta; p. due non fa tre, per significare che non si intende dare alcuna spiegazione. b. Nell’uso letter., con valore simile a poiché e siccome, può introdurre l’enunciazione di una causa già nota, premessa alla proposizione in cui si esprime la conseguenza (questa introdotta talvolta da perciò o da così): p. s’era molto parlato del fatto (così, o perciò) credevo che anche tu ne fossi al corrente; P. la vita è breve, E l’ingegno paventa a l’alta impresa, Né di lui né di lei molto mi fido (Petrarca). 3. Sempre con valore causale, ma in funzione di pronome relativo, come equivalente di per cui (per il quale, per la quale): vi dirò la ragione p. la penso diversamente; non c’era un motivo p. se ne andasse così all’improvviso. Frequente in edizioni di testi ant., e rara nell’uso mod., la grafia divisa (per che): mansuetamente cominciò a voler riscuotere e fare quello per che andato v’era (Boccaccio); anche con valore neutro, nel sign. di «per la qual cosa» (= e perciò): Poi, come più e più verso noi venne ... più chiaro appariva: Per che l’occhio da presso nol sostenne (Dante). In qualità di nesso relativo all’inizio di periodo, non com., anche per il che, per lo che, e, con trasposizione dell’articolo, il perché: la nostra religione ha pochissimo di quello che somigliando all’illusione è ottimo alla poesia: il perché bisogna ricorrere alle tradizioni, leggende e superstizioni (Carducci). 4. Come congiunzione con valore finale, per introdurre una prop. secondaria (sempre col verbo al congiuntivo), con valore analogo ad affinché, di cui però è meno pesante e quindi più com. nell’uso corrente: lo correggo p. faccia meglio un’altra volta; gli scrissi p. si ricordasse della promessa fattami. 5. Nell’uso ant. o letter., può avere valore concessivo, con sign. simile a sebbene, per quanto e sim.: P. le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da’ lacci sciolte Dell’antico sopor l’itale menti (Leopardi). Talvolta come equivalente di che dichiarativo, con valore concessivo o ipotetico più o meno avvertibile: e voi non gravi Perch’io un poco a ragionar m’inveschi (Dante); Né gli giova a sanar sue piaghe acerbe, P. conosca la virtù dell’erbe (Poliziano). 6. In correlazione con troppo, acquista valore consecutivo: è troppo furbo perché lo si possa ingannare. 7. Con funzione di s. m., la causa, il motivo, lo scopo: chi domanda il nome dell’ospite sconosciuta, e il come e il p. (Manzoni); domandarsi, conoscere il p. delle cose; se ha agito così, vuol dire che aveva il suo p. (o, più fam., il suo bravo p.); i p. sono molti e non tutti si possono dire; l’ha fatto senza un p.; vuol sapere il p. (fam., il p. e il percome); il libro del p. è molto grande (prov.). Gioco del p., gioco di società in cui si deve rispondere a una serie incalzante di domande senza ripetere la parola perché con cui ogni domanda è introdotta.