permanenza
permanènza s. f. [der. di permanere]. – 1. L’esser permanente, il persistere nel tempo (riferito a cose, è l’opposto di provvisorietà o temporaneità): la p. della febbre, della nuvolosità, ecc., il perdurare della febbre, della nuvolosità, ecc.; in geologia, p. degli oceani (o delle aree oceaniche), teoria per la quale i fondi oceanici sarebbero stati dove si trovano ora sin dalle più remote età geologiche (ipotesi alla quale si contrappone quella della variabilità delle aree oceaniche). Più genericam., il permanere in una determinata condizione, come concetto che, nelle scienze della natura, si contrappone a quello di evoluzione. Di uso frequente la locuz. avv. in permanenza, in modo permanente, di continuo, senza interruzioni e senza soste: cime coperte in p. dalle nevi; in partic., sedere, essere riunito, funzionare in p., con riferimento a organi collegiali. 2. Il fatto di soggiornare in un luogo per un periodo più o meno lungo: dopo un mese di p. nel suo paese natale è ripartito; la nostra p. al mare durerà ancora una settimana; la mia p. a Parigi è stata breve; è tornato in Italia dopo una lunga p. all’estero; buona p.!, formula di augurio rivolta da chi parte a chi rimane. Poco com. la locuz. avv. di permanenza, stabilmente, abitualmente: essere, stare, abitare, vivere di p. in un luogo. 3. In matematica, in una sequenza di numeri (in partic., nella sequenza formata dai coefficienti di un polinomio), circostanza che si presenta ogni volta che due numeri consecutivi sono concordi, cioè hanno lo stesso segno (in contrapp., quindi, a variazione: sulle permanenze e sulle variazioni si basa la regola delle p., o «regola di Cartesio», per le equazioni di secondo grado); sempre in matematica si parla di principio di p. delle proprietà formali per il quale, ogni volta che si amplia un insieme numerico (quando si passa, per es., dai numeri interi ai numeri razionali), si conservano le principali proprietà delle operazioni.