plagiare
v. tr. [der. di plagio; cfr. lat. tardo, giur., plagiare «rubare e vendere un uomo libero, o rubare lo schiavo altrui»] (io plàgio, ecc.). – Commettere un plagio, nelle due diverse accezioni del termine, come usurpazione della paternità di un’opera letteraria o scientifica o artistica, e come delitto contro la personalità individuale: p. pedissequamente l’opera di uno scrittore dimenticato o di un musicista quasi sconosciuto; un sedicente guaritore accusato di aver plagiato i proprî clienti; era noto che tutti i magistrati della procura venivano plagiati da quel capo (Salvatore Mannuzzu). Per estens. del primo sign., imitare troppo da vicino gli scritti, o anche le tesi, le idee, gli atteggiamenti di altra persona facendoli passare per proprî e originali. ◆ Part. pass. plagiato, in funzione verbale o anche come agg., riferito sia all’opera o all’autore che ha subìto un plagio letterario o di altra natura, sia alla persona la cui volontà e individualità siano state ridotte da altri in soggezione.