poggio
pòggio s. m. [lat. pŏdium «podio» (v. podio), passato al nuovo sign. in età medievale]. – 1. Elevazione del terreno, di altezza inferiore alla collina e, in genere, di forme tondeggianti e con dolci pendii; sinon. quindi di colle1. Abbastanza diffuso come toponimo in varie regioni (per es., Poggio a Caiano in provincia di Prato, Poggio Catino e Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, Poggio Renatico in provincia di Ferrara), è oggi di uso pop. solo in Toscana, mentre altrove è sentito come voce letter. o addirittura poet.: la cima, la vetta d’un p.; correre, arrampicarsi su per i p.; loda il p. e attienti al piano, prov. contadinesco (con cui si vuol significare che il piano dà più frutto, spec. di cereali); quando a terra son sparte le frondi E quando il sol fa verdeggiar i p. (Petrarca); Nella convalle fra gli aerei poggi Di Bellosguardo (Foscolo); Di cima al p. allor, dal cimitero, Giù de’ cipressi per la verde via (Carducci). Con valore più generico: incontr’al poggio Ch ’nverso ’l ciel più alto si dislaga (Dante), la montagna del purgatorio. 2. estens. a. non com. Altura o rialzo artificiale, di sassi, rena e sim. b. Nell’industria del marmo, il posto di carico del materiale proveniente dalle varie vie di lizza. c. P. di partenza, altro nome della piazzola, nel gioco del golf. d. Con metafora poet., scherz., mammella: Nel sen d’avorio e alabastrini poggi (Ariosto). 3. ant. Podio, nelle sue varie accezioni. ◆ Dim. poggétto (da una parte del crocicchio, si vede un rialto, come un poggetto artificiale, con una croce in cima, Manzoni); poggettino, poggiòlo, poggerèllo.