poi
pòi (tronc. po’ 〈pò〉) avv. [lat. pŏst «dopo»]. – 1. a. Dopo, nel tempo che segue, in un tempo successivo: ci penseremo poi; voleva rifiutare l’offerta, ma poi ci ha ripensato; bisogna agire subito, poi sarà troppo tardi; ellitticamente e ripetuto: poi poi ..., ora non c’è tempo! In correlazione con prima (a cui si contrappone): prima uno poi d’altro; o prima o poi è lo stesso; prima avevo freddo, poi caldo; come locuz. avv., prima o poi, un giorno o l’altro, quando che sia (per indicare la certezza o l’inevitabilità di qualcosa): prima o poi finirà; prima o poi bisognerà trovare una soluzione. Preceduto da una prep.: a poi, a più tardi: di questo, a poi! (cioè, rimandiamo a più tardi di parlarne); più com. come formula di saluto: miei cari, a poi! (anche, più compiutamente, arrivederci a poi, addio a poi); in poi, per indicare prosecuzione del tempo: d’ora in poi; da allora, da quel giorno in poi; da domani in poi; da lunedì in poi. b. In alcune locuz., usate soprattutto in passato, è molto meno com. di dopo: lascialo per poi; poco poi arrivarono tutti; non molto poi mi richiamò; anche con valore aggettivale, con sign. analogo a «seguente»: il dì poi, l’anno poi. Talora i due avverbî si uniscono pleonasticamente: per ora facciamo così, poi dopo si vedrà; intanto entro io, poi dopo entrerete voi; meno pleonastiche sono le espressioni poi in seguito, poi appresso, e sim., in quanto il secondo avverbio spiega e completa il primo: Poi appresso convien che questa caggia Infra tre soli (Dante). c. Sostantivato, il poi, il tempo che seguirà, ciò che avverrà in seguito, l’avvenire: bisogna pensare al poi; non mi curo né del prima né del poi (Carducci); il senno, il sentimento del poi (prov.: del senno di poi son piene le fosse); scherz., il giorno di (o del) poi, un giorno che non verrà mai. 2. Con usi estens.: a. In molti casi esprime non una successione nel tempo ma una successione ideale, corrispondendo a «inoltre», «in secondo luogo», e sim.: tieni conto poi che è ancora molto giovane; prima di tutto non m’interessa, e poi non voglio proprio (in qualche caso, prima ... poi ... equivalgono all’incirca a più ... meno ...: mi premono prima gli affari miei, poi quelli degli altri); sostantivato: c’è sempre un prima e un poi, una causa e un effetto (o una conseguenza). Più concretamente, per indicare successione nello spazio: la salita dapprima è lieve, poi si fa sempre più ripida; davanti ci sono le poltrone, poi vengono le poltroncine; La sua testa è di fin oro formata, E puro argento son le braccia e ’l petto, Poi è di rame infino a la forcata (Dante); o in un ordinamento qualsiasi: viene prima la m, poi la n; nella gerarchia ecclesiastica c’è prima il papa, poi i cardinali, poi i vescovi. b. Posposto ad altre parole, serve spesso soltanto a introdurre il seguito del discorso o il passaggio ad altro argomento (cfr. la funzione analoga del lat. autem): quando poi arrivarono ...; in quanto poi al pagamento, si vedrà; durante il lungo cammino, alcuni si fermarono, altri tornarono indietro, altri poi presero strade diverse. c. Sempre posposto, col senso di «insomma, dunque, infine»: è partito poi?; s’è convinto poi?; ti decidi poi a venire via?, ecc. In altri casi, ha valore avversativo: non è poi un grande affare; io, poi, che c’entro?; noi ci andiamo, tu poi fa’ come credi; io te lo propongo, tu poi sei padrone di non accettare; io la lettera gliel’ho spedita, non so poi se l’ha ricevuta; così me l’hanno raccontata: se sia vera, poi, non lo so; e in unione con ma: io parlo parlo, ma poi ognuno fa come vuole. Spesso serve soprattutto a dare alla frase un efficace tono enfatico: questo poi no!; ora, poi, esageri!; questa, poi, è bella!; perché poi lo dica a me, non lo so proprio; ma poi, via, potresti anche vergognarti; perché, poi, doveva aversene a male? d. Molto com. l’espressione e poi, con varî sign. e usi. Col senso proprio, temporale: per ora fa’ ciò che ti dico, e poi si vedrà; in principio di frase, col senso di «inoltre, alla fin fine» o con valore conclusivo: e poi, vedi, c’è anche da pensare che ...; e poi, che bisogno c’era di dirglielo?; e poi, non sei mica obbligato ad andarci; e poi, e poi, non credo d’essere così sconosciuto da quelle parti (Manzoni); con partic. tono ora di sdegno, ora di meraviglia, ora ironico: e poi hanno il coraggio di accusare gli altri!; e poi si lamentano!; e poi si dice che sono le donne che chiacchierano!; e poi pretendiamo di essere gente civile! Usato da solo, con tono interrogativo: e poi? ..., per chiedere il seguito, la conclusione di un discorso, ma con sfumature varie (si può intendere: che cos’altro hai da dire?; e inoltre, che cosa avvenne?; e dopo, cosa accadrà?; e le conseguenze quali saranno?; e con questo?; e ciò che significa?; ecc.). e. Come rafforzativo enfatico, in talune ripetizioni: dovete lavorare e poi lavorare; ti ringrazio tanto e poi tanto; giù bòtte e poi bòtte!; Missegli le braccia strette al collo E mille volte e poi mille baciollo (Pulci). 3. Anticam., anche come prep., equivalente a «dopo»: po’ compieta, sto a veiare (Iacopone), dopo compieta sto a vegliare; e nelle locuz. poi a poco tempo, poi a certo tempo (cioè, di lì a poco tempo, dopo un certo tempo), e sim.: passando io scrittore poi ad alcun dì per Mercato Vecchio (Sacchetti); si trova anche, talvolta, seguito dalla prep. di: poi di questo, poi di averlo trovato, ecc. Talvolta col sign. di «dietro» (che aveva già in latino): si vol po’ me venire (Iacopone), se vuoi venire dietro a me. 4. Della lingua ant. è inoltre l’uso come cong., invece di poiché, temporale o causale: Poi fummo dentro al soglio de la porta (Dante); poi sì spesso ti confessi, poca fatica avrò d’udire o di dimandare (Boccaccio).