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polènta

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polenta


polènta (tosc. pop. pulènda e ant. polènda) s. f. [lat. polĕnta «farina d’orzo, polenta», affine a pollen -lĭnis «fior di farina» e a puls pultis «pappa»]. – 1. a. Vivanda di origine rustica che si prepara con farina di granoturco (detta perciò anche p. gialla o p. di farina gialla) in acqua leggermente salata dentro un paiolo in cui viene rimestata continuamente fino alla cottura, in seguito alla quale si rassoda e può quindi essere versata dal paiolo su un tagliere o su un piatto di legno, dove, se sufficientemente consistente, viene tagliata a fette; molto diffusa (ancor più in passato) in Lombardia, nel Veneto e nel Friuli, è usata come contorno ad altre vivande, o localmente in sostituzione del pane, e, variamente condita, come primo piatto o piatto unico: cuocere, rimestare, versare la p.; Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla (Manzoni); una fetta di p.; p. col sugo; p. con gli uccellini, con salsicce, con il latte; p. e baccalà; p. fritta, dopo averla tagliata a fette; gnocchi di polenta. b. P. nera, vivanda simile alla precedente, fatta con farina di grano saraceno e perciò di colore grigiastro, tipica del Trentino, e anche, con denominazioni locali, di altre zone (per es., la Valtellina). P. dolce (o p. di farina dolce), quella fatta con farina di castagne, più nota come castagnaccio. 2. Per estens., spreg., sostanza liquida, spec. minestra, di consistenza appiccicosa e più densa di quanto dovrebbe: che cos’è questa p.?; chi la mangia questa polenta? ◆ Dim. polentina, con accezioni partic., soprattutto in usi region. (polenta molto tenera, condita con burro e formaggio; pasta dolce finissima, fatta con farina mescolata a burro e molte uova, e perciò di colore giallo come la polenta; cataplasma di farina di semi di lino; in senso fig., persona lenta e torpida); accr., poco com., polentóna.

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