postilla
s. f. [dal lat. mediev. postilla, prob. dalla locuz. post illa «dopo quelle (parole)»]. – 1. a. Breve annotazione al testo, scritta a mano da uno studioso o dall’autore stesso sui margini o fra le righe di un’opera manoscritta o stampata, per esprimere osservazioni di vario genere, chiarimenti, opinioni critiche, ecc. (nel medioevo, corrispondeva ad abitudine scolastica e designò talvolta commenti più ampî di semplici note): codice, incunabolo pieno di postille; p. marginali, interlineari; le p. del Petrarca ai codici della sua biblioteca; le p. di N. Tommaseo ai Promessi Sposi. Per estens., sono dette talora postille le note di commento stampate nei libri a piè di pagina o in fondo al volume, e che in qualche caso sono anche pubblicate in volume autonomo: P. critiche alla «Gerusalemme liberata». b. In senso fig., osservazione, chiarimento, aggiunta: vorrei fare una piccola p. a quello che avete detto; il mio discorso è chiaro e non ha bisogno di postille. 2. In tipografia, ciascuna delle indicazioni marginali (titoletti, note, numeri di rinvio, ecc.), composte in corpo piccolo, tondo, corsivo o neretto, che in alcuni libri sono adottate per facilitare l’intelligenza del testo o la consultazione. 3. Nel linguaggio giur., aggiunta a un atto (di regola pubblico) diretta a integrare, modificare, sostituire dichiarazioni contenute nell’atto stesso. 4. Al plur., con traslato poet. in Dante (Par. III, 10-15), e in poche altre reminiscenze dantesche, i tratti della fisionomia riflessi dall’acqua o dallo specchio: Quali per vetri trasparenti e tersi, O ver per acque nitide e tranquille ... Tornan d’i nostri visi le postille Debili sì, che perla in bianca fronte Non vien men forte a le nostre pupille.