pregiudizio
pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»]. – 1. Nel diritto romano, azione giuridica precedente al giudizio, e tale da influire talvolta sulle decisioni del giudice competente. 2. a. Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore (è sinon., in questo sign., di preconcetto): avere pregiudizî nei riguardi di qualcuno, su qualcosa; essere pieno di pregiudizî; giudicare senza (o con l’animo sgombro da) pregiudizî; molti continuano ad avere dei p. sulle capacità professionali delle donne; i suoi p. erano il risultato di un’educazione all’antica; pregiudizî di casta; p. morali, razziali, religiosi, sociali, politici; uno di quei settentrionali con la testa piena di pregiudizi, che appena scendono dalla nave-traghetto cominciano a veder mafia ovunque (Sciascia). b. Convinzione, credenza superstiziosa o comunque errata, senza fondamento: combattere contro vecchi p. popolari; è un vecchio p. che rompere uno specchio porti sfortuna. 3. a. Il danno che può derivare agli interessi di una persona da un atto che pregiudichi, cioè comprometta l’esecuzione di una eventuale decisione favorevole del giudice competente; spec. in frasi del tipo: senza p. dei miei diritti; senza p. di terzi; in p. di, con riferimento ad azione giudiziaria, civile o penale, proposta a carico di qualcuno. b. Per estens., fuori del linguaggio giuridico, danno in genere: essere di p. (o di grave p.) per la salute, per la reputazione; recare p., danneggiare; bel modo quell’onesto curato ha saputo trovare per buttar via danari, con non mediocre pregiudizio d’un suo chierichetto, che deve essere un dì suo erede perché gli è nipote (Baretti). ◆ Dim. pregiudiziétto; pegg. pregiudiziàccio (l’uno e l’altro, nelle accezioni del n. 2).