priapeo
priapèo agg. e s. m. [dal lat. tardo Priapēus o Priapēius, gr. πριάπειος, e Priape(i)um (metrum), πριάπειον (μέτρον), come nome del verso, pl. Priape(i)a -orum, gr. (τὰ) πριάπεια, il componimento poetico o il genere di poesia; dal nome del dio Priapo (v. priapo)]. – 1. Verso della metrica classica composto di un gliconeo e di un ferecrateo (di schema ⌣̲́⌣̲–́⌣⌣–́⌣⌣̲́/⌣̲́⌣̲–́⌣⌣–́⌣̲), caratteristico dei componimenti detti priapei; fu adoperato nella poesia lirica di contenuto erotico e, tra i poeti romani, da Catullo e dagli autori di priapei. 2. s. m. Componimento poetico greco e latino, in origine specie di mimo in onore del dio Priapo (v. priapo), composto, oltre che in versi priapei, anche in endecasillabi faleci, in distici elegiaci e in coliambi; caratterizzato dal contenuto osceno o licenzioso, perse in seguito l’originario significato religioso, degenerando in un’artificiosa scurrilità. 3. agg. letter. Che ha carattere o significato fallico: sensualità p.; battendo la manca su la piegatura del destro braccio agitato col pugno chiuso a scherno priapeo (D’Annunzio).