prigione1
prigióne1 (ant. pregióne) s. f. [dal fr. prison, che è il lat. pre(he)nsio -onis «l’atto di prendere», der. di pre(he)ndĕre «prendere» (v. prendere e prensione)]. – 1. a. Lo stesso che carcere, rispetto a cui è più usato nel linguaggio com.: mettere in p.; andare in p.; era un disonesto, e una volta o l’altra doveva finire in p.; per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della p. (Giovanni Guareschi); passare la vita in p.; è stato condannato a quattro anni di p.; dovrà scontare dieci anni di p.; marcire in p., restarvi rinchiuso per lunghissimo tempo; uscire di (più com. che dalla) prigione. Prigione di stato, il carcere destinato ai prigionieri politici, nei paesi a regime autoritario dell’età moderna (fino al sec. 19°): quel castello, stato eretto per difender Parigi dalle incursioni degli Inglesi, non serviva, fino dal regno di Luigi XIV, che ad uso di prigione di Stato (Manzoni). b. Al plur., la costruzione adibita a prigione: le p. sono situate alla periferia della città (cfr. l’analogo uso del plur. le carceri). 2. In senso fig.: a. Luogo, ambiente particolarmente buio e angusto, o anche opprimente e soffocante per la vera o presunta mancanza di libertà che vi regna: questa stanza sembra una p.; non dovete considerare la scuola come una p.; l’ufficio per me è diventato una prigione; amo le selve e i boschi e i monti, ... e convienemi vivere su le lastre e le mura stupide di queste prigioni che chiamano città (Carducci); vivere, essere rinchiuso in una p. dorata, di chi si trova in luogo confortevole e privilegiato, ma è privato della propria libertà (cfr., con sign. analogo, gabbia dorata: v. gabbia, n. 1 a). b. Nel linguaggio ascetico o letter., la p. terrena, la vita sulla terra come stato di attesa e di sofferenza per l’anima che aspira alla vita ultraterrena; la p. del corpo o corporea, la materialità fisica del corpo in cui è come rinchiusa e soffocata la spiritualità dell’anima: un ritorno gioioso alla propria dimora celestiale dall’esilio terrestre nella prigione corporea (Bacchelli). Con altro traslato, la p. eterna, l’inferno: Chi siete voi che contro il cieco fiume Fuggita avete la pregione etterna? (Dante). c. Con uso più personale e poet., stato di soggezione (soprattutto alla potenza dell’amore): Amor con sue promesse lusingando Mi ricondusse a la prigione antica, E die’ le chiavi a quella mia nemica Ch’ancor me di me stesso tene in bando (Petrarca).