primavera dei popoli
loc. s.le f. 1. Denominazione, nata in ambienti mazziniani, dell’insieme dei moti rivoluzionari scoppiati in Europa tra il gennaio del 1848 e la primavera del 1849. 2. Per estensione, ogni moto di ribellione popolare contro regimi monocratici di tipo dittatoriale o fortemente autoritario. ♦ Convengo che l'analogia psicologica non porta molto lontano. Senonché un altro elemento, questo sì sostanziale, può chiarire un punto di esperienza e di realtà, largamente comprensivo, anzi illuminante, per fenomeni pur spesso differenti nella loro motivazione e nella loro dinamica. È da questo punto di vista che il nuovo [lo storiografo si riferisce alla stagione internazionale di proteste del biennio 1967-1968] assomiglia a un'altra grande primavera dei popoli. (Paolo Spriano, Unità, 25 aprile 1968, p. 7) • Nessuno può contestare che dal 1776 al 1849 nel mondo non ci furono rivoluzioni. Il periodo si apre con la rivoluzione americana, prosegue con le rivoluzioni di Ginevra (1782), dei Paesi Bassi (1783-87), del Belgio (1787-90), della Polonia (1787-91), appare profondamente dominato dalla rivoluzione francese che non a caso viene definita "grande": riprende con la fiammata rivoluzionaria del 1848, la "primavera dei popoli", che in Europa risparmia soltanto la Russia. (Fernando Manzotti, Corriere della sera, 24 agosto 1969, p. 13, Corriere letterario) • Dopo tutto, le frontiere dell'Europa centrale ridisegnate arbitrariamente nel 1918/20 sono state pressappoco riconfermate nel 1945/47. Accanto al "sistema" grando-russo sono nati allora dei sottosistemi grando-serbi, cechi-slovacchi, addirittura grando-rumeni. Così, non si vede perché una "primavera dei popoli" debba esaltare il principio di autodeterminazione solo a livello antirusso. (Alberto Cavallari, Repubblica, 24 luglio 1991, Prima pagina) • Nella casa il telefono squilla spesso, ogni volta Stéphane Hessel si alza dal divano per rispondere agli inviti che piovono da ogni parte del mondo. Rifiuta il cellulare, unico vezzo. «Grazie, il periodo è un po' complicato per me, ma cercherò di venire». Qualcuno chiama per avere un commento sulla primavera dei popoli arabi. «È la dimostrazione che siamo agli albori di una nuova società mondiale. Prima la Tunisia, ora l'Egitto, la Libia, domani forse l'Algeria. Prevedo una successione di contestazioni anche in Occidente». (Anais Ginori intervista Stéphane Hessel, Repubblica, 28 febbraio 2011, p. 62, Cultura).
Composto dal s. f. primavera, dalla preposizione articolata dei e dal s. m. pl. popoli.
Luigi Matt ricorda che «Già il 1° marzo 1848 lo scrittore mazziniano Filippo De Boni parlava di primavera dei popoli, coniando un’etichetta destinata a rimanere nell’uso (anche scolastico) fino ad oggi, ma colpevolmente ignorata dai dizionari; la locuzione si legge in un suo grido agl’italiani, tipicissimo esempio di prosa risorgimentale: “Li 22 Febbraio spuntava dentro Parigi la primavera dei popoli, la redenzione evangelica si compieva tre giorni dopo, e l’umanità levavasi tutta fuor dalla sua sepoltura, proclamando il codice dell’avvenire”» La citazione è tratta da Luigi Matt, È un quarantotto (e altre quarantottate) - Per modo di dire… Un anno di farsi fatte, in Lingua italiana, 27 dicembre 2021, Treccani.it