profugo
pròfugo s. m. (f. -a) e agg. [dal lat. profŭgus, der. di profugĕre «cercare scampo», comp. di pro-1 e fugĕre «fuggire»] (pl. m. -ghi). – Persona costretta ad abbandonare la sua terra, il suo paese, la sua patria in seguito a eventi bellici, a persecuzioni politiche o razziali, oppure a cataclismi come eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni, ecc. (in questi ultimi casi è oggi più com. il termine sfollato): il p. Enea; i p. del Veneto nella prima guerra mondiale; dalla capitale si irradiavano per tutto il paese torme di p., senza pane e senza tetto, terrificati dalle rappresaglie (P. Levi); i p. della Dalmazia e Venezia Giulia, durante e dopo la seconda guerra mondiale; le famiglie p. del Polesine, del Belice, del Friuli; accogliere, assistere i p.; con uso più largo nel linguaggio poetico: dove or io vi seguirò, se il Fato Ah da gran giorni omai profughe in terra Alla Grecia vi tolse? (Foscolo, alle Grazie). Per campo profughi, v. campo, n. 3 c.