programma di protezione
loc. s.le m. Istituto giuridico attuato dall’autorità di pubblica sicurezza in accordo con i magistrati interessati per la tutela, l’incolumità e la sicurezza dei collaboratori di giustizia. ◆ Può restare nelle mani del pm che lo usa, e soltanto nelle sue, il giudizio sull’attendibilità di un mafioso ai fini dei privilegi del programma di protezione? E i giudizi dei tribunali che disattendono le loro accuse e li condannano agli ergastoli, non contano? (Foglio, 3 luglio 1998, p. 2) • La struttura [il Servizio centrale di protezione], secondo le preoccupazioni dei pm delle Dda condivise dai magistrati della decima commissione del Csm, ha adottato interventi in tempi «eccessivamente lunghi» e la scarsa qualità dei programmi di protezione offerta è stata spesso «insufficiente ad assicurare il reinserimento nelle strutture sociali» del collaboratore e a «garantire il nucleo familiare dell’interessato». (Stampa, 5 luglio 2001, p. 12, Interno) • L’altro «pentito», una donna, è Maria Teresa Biasini. Anche per lei, una contraddizione irrisolta. Da un lato, il programma di protezione in vigore, che ne attesta l’attendibilità, e dall’altro l’archiviazione del procedimento in cui ha raccontato di quei festini a base di sesso e cocaina che sarebbero costati la vita ai «fidanzatini di Policoro» (Carlo Vulpio, Corriere della sera, 15 aprile 2007, p. 19).
Espressione composta dal s. m. programma, dalla prep. di e dal s. f. protezione.
Già attestato nella Repubblica del 22 ottobre 1985, p. 15, Cronaca (Fabrizio Ravelli).