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prolèssi

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prolessi


prolèssi (meno com. prolèpsi) s. f. [dal lat. tardo prolepsis, gr. πρόληψις «anticipazione», der. di προλαμβάνω «anticipare, prendere prima»]. – 1. Figura retorica consistente nel prevenire, confutandola, una possibile obiezione. 2. a. Costruzione sintattica (detta anche anticipazione) in cui si anticipano una o più parole (o un’intera proposizione) che secondo l’uso grammaticale dovrebbero invece essere collocate dopo (per es., si ha il pronome dimostrativo in posizione prolettica in: «questo vorrei dirvi fin d’ora, che sarete ampiamente ricompensati per il lavoro svolto»). b. Figura retorica consistente nell’enunciare come contemporaneo di un’azione un fatto che ne sarà solo la conseguenza (per es.: si calmarono le placide onde, il cui senso è «si calmarono le onde, divenendo placide»). 3. In filosofia, termine (gr. πρόληψις, lat. praesumptio) con cui nella logica postaristotelica si designò più volte il concetto, o considerandolo (come nello stoicismo) quale formazione naturale e originaria della mente umana antecedente all’esperienza, o interpretandolo (come nell’epicureismo) quale semplice schema mnemonico dell’esperienza passata, capace di «anticipare» nella mente l’esperienza futura. 4. Col sign. etimologico (e più spesso nella forma prolepsi), in botanica, sviluppo anticipato di un organo; può essere naturale, ossia dovuta a cause interne, o provocata artificialmente, come succede nella forzatura delle piante agrarie (per es., per la produzione anticipata di fiori).

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