pronome
pronóme s. m. [dal lat. pronomen, comp. di pro-1 «invece di» e nomen «nome», calco del gr. ἀντωνυμία, formato anch’esso con ἀντί «invece di» e ὄνυμα, «nome»]. – Parte variabile del discorso che ha la funzione di sostituire il nome, indicando, senza nominarli, esseri e cose, dicendone la quantità e la qualità, e a volte i rapporti spaziali e, a seconda delle lingue, il genere, il numero e il caso; il pronome ha quindi non solo funzione di richiamare o anticipare una nozione già espressa o che verrà espressa dopo (per es.: la casa che ho comprato; questa è la mia casa), ma anche quella di richiamare il contenuto di intere frasi (lo sapevo che sareste arrivati), e di designare nozioni, persone o cose, non espressamente indicate (per es.: lui!; è proprio questo; è quello).
Linguistica e Grammatica. – Nelle lingue indoeuropee si distinguono comunem. i p. personali, che hanno solo valore sostantivale, indicano la persona grammaticale senza distinzione di genere, e spesso sono diventati superflui dove l’indicazione morfologica è chiaramente espressa dalla flessione verbale (lat. amo, amas, amat, amamus, ecc.; ma in fr. j’aime, tu aimes, il aime, data la coincidenza fonetica di più persone); i p. possessivi, derivati dai personali, il cui valore è fondamentalmente aggettivale (il mio studio, vostro padre, ecc.; sostantivati: il mio, i tuoi, ecc.); i p. riflessivi, riferiti ad azioni transitive, intransitive e reciproche (io mi lavo, egli se ne va, voi vi amate); i p. dimostrativi, che hanno funzione prevalentemente dimostrativa, distinguono il rapporto spaziale con il parlante o l’interlocutore (per es. lat. hic, ital. questi, questo, vicino a chi parla, relativa alla 1a persona; lat. iste, ital. codesto, vicino all’interlocutore, relativo alla 2a persona; lat. ille, ital. quegli, quello, lontano dal parlante e dall’interlocutore, relativo alla 3a persona), sostituiscono i pronomi personali di 3a persona (egli, esso), e hanno anche valore aggettivale (questo libro, quella sedia); i p. indefiniti, che generalmente non distinguono il genere, o solo l’animato dall’inanimato (per es., è venuto qualcuno?, è successo qualcosa?), possono avere anche valore aggettivale, e sono caratterizzati dall’indicare in modo vago e impreciso la qualità o la quantità delle persone o cose cui si riferiscono; i p. relativi, in cui la funzione anaforica si è estesa a funzione sintattica di congiunzione e di subordinazione; i p. interrogativi, che esprimono un’interrogazione o un dubbio, e come i relativi possono avere funzione sintattica subordinante (per es.: io non so chi tu sia); e infine i p. numerali, che esprimono una quantità assoluta o un rapporto di quantità precisato. ◆ In italiano i pronomi personali sono i soli, delle varie categorie a flessione nominale, ad avere una loro declinazione che non sia semplice distinzione fra singolare e plurale; così, per es., al nominativo io si oppongono me per il compl. oggetto in posizione forte e dopo preposizione, mi per il compl. di termine e per il compl. oggetto in posizione debole. Le forme me, te, lui, lei, noi, voi, loro (e analogam. sé nel riflessivo) sono comunem. dette forti o toniche, mentre le forme mi (me), ti (te), lo e gli, la e le, ci (ce), vi (ve), li, le, si sono dette deboli o atone, o anche particelle pronominali, di solito proclitiche o enclitiche (mi siedo, te ne vai, potevi dirmelo, ecc.).