pulitezza
pulitézza s. f. [der. di pulito, con sovrapposizione, nelle varie accezioni del n. 2, di politezza e con influenza del fr. politesse], letter. – 1. Sinon., ormai ant., di pulizia, del corpo, delle vesti, di luoghi e ambienti, come fatto e abitudine di tenersi e di tenere pulito: la strada era di una insolita p. (E. Praga). Più com., cura della persona, dell’abbigliamento o dell’arredo, accompagnata da sobria eleganza e raffinatezza: Lucia ... andava intanto rassettandosi, per una abitudine, per un istinto di p. e di verecondia (Manzoni, Pr. Sp., ediz. 1827, cap. XXIV, sostituito nell’ediz. 1840 con pulizia); sedevano al desco arredato con rustica p. (Bacchelli). 2. Lo stesso, ma meno com., che politezza, come cura formale e stilistica in un’opera artistica o letteraria: Apelle ..., la p. e grazia delle cui pitture niuno antico agguagliò (Tassoni); come nitidezza: p. tipografica (Leopardi); p. della linea, del contorno, in un disegno; o come raffinatezza, eleganza e gentilezza nel comportamento, nei costumi, nel modo di vivere: alla singolare abilità nella loro professione aggiungono ... tutta la p. della miglior società (Cesarotti).