quivi
avv. [lat. tardo eccu(m) ĭbī], letter. – Ivi, nel luogo di cui si parla o che si è già nominato o a cui comunque si accenna: Così sen va, e q. m’abbandona Lo dolce padre (Dante); Q. egli avendo l’arme sue deposto, In dosso quelle d’un pagan si pose (T. Tasso). Può equivalere a qui o a lì, ma riferito sempre a luogo in cui la persona che parla non si trova, tanto che alcune volte è contrapposto esplicitamente a qui (il luogo dov’è la persona che parla), anche con il sign. più proprio di lì, là: quantunque quivi così muoiono i lavoratori come qui fanno i contadini (Boccaccio). Accompagnato da altri avverbî, spec. nella lingua ant.: q. entro, q. vicino, q. su, q. oltre, q. medesimo, ecc. Con valore temporale, allora, in quel punto, in quella circostanza (o anche «a questo punto», quando la parola è usata in una narrazione): Noi fummo tutti già per forza morti, E peccatori infino a l’ultima ora: Q. lume del ciel ne fece accorti (Dante). Anticam. si trova talora usato (come qui) con valore di sost., equivalente a «questo luogo, quel luogo»: domandò Giosefo un buono uomo il quale a capo del ponte sedeva, come q. si chiamasse (Boccaccio), come si chiamasse quella località.