rabbi
s. m. – Adattamento latino (attrav. il gr. ῥαββί, ῥαββεί) del titolo onorifico ebraico rabbī «mio maestro»; compare più volte nei Vangeli e costituisce, a partire dal 1° sec. d. C., la denominazione ufficiale dei dottori della legge in Palestina, mentre in Mesopotamia prevale rab «maestro», senza pronome possessivo. Da rabbī (forse attrav. una contaminazione di forme con altre varianti) derivano il gr. ῥαββῖνος e il lat. tardo rabbinus, da cui l’ital. rabbino e gli analoghi vocaboli delle altre lingue moderne. Nei Vangeli, è appellativo frequente con cui i discepoli si rivolgono a Gesù; è noto soprattutto il saluto di Giuda nell’orto, la sera del tradimento: «Ave, rabbi» (da cui la locuz. tosc., oggi ant., far l’ave rabbi, ostentare amicizia, mascherare con ipocrite cerimonie intenzioni cattive).