rabbia
ràbbia s. f. [lat. tardo rabia, lat. class. rabies]. – 1. a. Malattia infettiva, detta anche, ma inesattamente, idrofobia, provocata da un virus neurotropo (rhabdovirus) che determina un’encefalopatia acuta a esito quasi sempre letale: colpisce i mammiferi terrestri (soprattutto cani, gatti, lupi, volpi, pipistrelli), dai quali può essere trasmessa all’uomo tramite il morso o il leccamento di lesioni della superficie corporea: dopo un periodo di incubazione, che può durare da 18 a 90 giorni, ma con ampie variazioni da una settimana a un anno, vi è un periodo prodromico caratterizzato da disturbi mal definiti (rialzo termico, disfagia, midriasi, astenia, cefalea, insonnia), cui segue una fase neurologica acuta durante la quale insorgono spasmi tonici dolorosi ai muscoli della deglutizione, senso di strozzamento nell’inghiottire o anche solo alla vista dell’acqua, spasmo delle vie respiratorie, tremori, delirio, infine coma e morte. b. In patologia animale, falsa r., le esplosioni di collera immotivate che si osservano in animali sottoposti a interventi chirurgici sul cervello (diversa dalla pseudorabbia); r. silvestre, quella che si diffonde tra gli animali selvatici (in partic. la volpe), e che da questi può essere trasmessa al cane e all’uomo. Per analogia, in agraria, r. del cece, del pisello, ecc., denominazione comune della malattia fungina detta anche antracnosi. 2. fig. a. Irritazione violenta prodotta dal senso della propria impotenza o da un’improvvisa delusione o contrarietà, e che esplode in azioni e in parole incontrollate e scomposte: essere preso dalla r.; voce tremante di r.; rosso, schiumante di r.; Nullo martiro, fuor che la tua rabbia, Sarebbe al tuo furor dolor compìto (Dante); per doglia fu presso a convertire in r. la sua grande ira (Boccaccio); arse D’ira e di r. immoderata immensa (T. Tasso). Quindi anche furia bestiale, violenza non controllata e moderata dalla ragione: Ben provide Natura al nostro stato, Quando de l’Alpi schermo Pose fra noi e la tedesca r. (Petrarca); e d’animali: Io fo cadere al tigre la sua r. (Poliziano). In altri casi indica un’irritazione grave e profonda ma contenuta, interna: taci, maladetto lupo! Consuma dentro te con la tua r. (Dante); essere divorato dalla r.; si rodeva nell’animo di r. impotente; alle sue parole sentii una sorda r. dentro. Nell’uso pop., è spesso sinon. di ira. b. In senso attenuato può significare impazienza stizzosa e seccata, disappunto vivo e dispettoso per essere costretto a fare ciò che non si vuole o per non aver ottenuto ciò che si voleva: il suo modo d’agire mi riempie di r.; dover aspettare qui inutilmente mi fa r. (e con soggetto di persona: mi fa r. con quella sua flemma; stai zitto, che mi fai proprio rabbia!); ho r. di non essere riuscito a spuntarla; che r.!; sento una r. addosso! Proverbî: chi tutto vuole, di r. muore; uccello in gabbia non canta per amor, canta per rabbia. 3. non com. Avidità inquieta, desiderio acceso e smodato: r. di vendetta; r. di far quattrini. Quindi, più com., accanimento nel fare o volere qualche cosa: si mise a lavorare con rabbia; la squadra ha reagito con rabbia allo svantaggio; in partic., con allusione alla libidine amorosa: ben veggo che io son morto per la r. di questa mia moglie (Boccaccio); r. d’amore, r. di marito, voglia furiosa: ci ha la r. del marito, con tutti quegli anni e quella carne che ci ha addosso, la poveraccia! (Verga). 4. Per estens., di cose inanimate, di elementi naturali, malattie, ecc., impeto violento, furia disordinata: la r. dei venti; la r. delle onde; la pioggia scrosciava con r.; ciascun menava spesso il morso De l’unghie sopra sé per la gran rabbia Del pizzicor, che non ha più soccorso (Dante). ◆ Dim. rabbiétta e rabbiettina, rabbiolina, rabbiùccia, e rabbiuzza; pegg. rabbiàccia (tutti in senso fig.).