raddoppiamento
raddoppiaménto s. m. [der. di raddoppiare]. – 1. L’atto, il fatto, e l’effetto del raddoppiare, del raddoppiarsi: r. degli sforzi; r. della posta del gioco; in pochi anni si ha il r. del capitale versato. 2. In elettrotecnica, sinon. di duplicazione: r. di frequenza, di tensione. 3. In linguistica: a. Mezzo morfologico, operante in molte lingue antiche e moderne, consistente nella ripetizione della parola (ital. piano piano, zitti zitti, ben bene), della radice (lat. mur-mur-are, sanscr. dar-dar-ti «egli spezza»), o della consonante iniziale seguìta da una vocale (per lo più e, i, e in sanscr. a) per le radici che cominciano con consonante (per es., nei perfetti, come nel lat. ce-cin-i «cantai» dalla radice can-, nel gr. δέ-δορκ-α «ho visto» da δερκ-, nel sanscr. da-dau «ho dato» da dā-; nei presenti, come nel lat. gigno «io genero» dalla radice gen-, nel gr. δί-δω-μι «io do» da δω-), e della vocale iniziale e della prima consonante per le radici che cominciano con vocale (chiamato, questo, r. attico; per es., in alcuni perfetti e aoristi greci, come ἀγ-αγ-εῖν, infinito aoristo di ἄγειν). b. In fonetica, raddoppiamento o rafforzamento sintattico o fonosintattico, fenomeno per cui determinate consonanti semplici iniziali di parola, quando questa segue nel discorso (senza che vi sia una pausa o un dislivello stilistico di tono) ad altra parola che termini in vocale (o sia costituita da una sola vocale), passano al grado rafforzato, ossia sono pronunciate doppie (per es., in ital., a casa 〈a kkàsa〉, sopra tutto 〈sópra ttùtto〉, come questo 〈kóme kku̯ésto〉): il fenomeno è notato nella grafia solo quando le due parole a contatto sono scritte unite (per es., soprattutto, allato). In italiano, il raddoppiamento sintattico è normale quando la prima parola ha l’accento, notato anche nella grafia, sulla vocale terminale (ciò fatto 〈čo ffàtto〉, già detto 〈ǧa ddétto〉, sentì suonare 〈sentì ssuonàre〉), quando è formata da sostantivi, pronomi forti e aggettivi monosillabi (per es., blu notte 〈blu nnòtte〉, a me pare 〈a mmé ppàre〉, tre case 〈tré kkàse〉); inoltre quando la prima parola è formata dagli avverbî o pronomi o congiunzioni o preposizioni contra, dove, qualche, sopra (per es., qualche sera 〈ku̯àlke sséra〉; nel tosc. e in casi partic. anche dopo come: come dici? 〈kóme ddìci?〉, come te 〈kóme tté〉; cfr. come), quando è formata da dà, dì, fa, sta, va, imperativi di 2a persona sing. dei verbi dare, dire, fare, stare, andare (per es., dì tutto 〈di ttùtto〉, fa piano 〈fa ppi̯àno〉), e quando produce anche nella grafia il raddoppiamento nei composti di cui è il primo componente (per es., e disse 〈e ddìsse〉 in quanto ci sono ebbene e eppure, qua si vede 〈ku̯à ssi véde〉 in quanto ci sono quaggiù e quassù). c. Sempre in fonetica, fenomeno per cui la consonante semplice finale di una parola, se a questa segue una parola che comincia per vocale, può, in determinate situazioni e condizioni, raddoppiarsi. Così, in ital., tram elettrico 〈tràmm elèttriko〉, un lapis azzurro 〈un làpiss ażżùrro〉 (anche in alcuni alterati e derivati, se il suffisso comincia per vocale: cognacchino da cognac, gassoso da gas, ecc.).